DON ANTONIO

venerdì 23 settembre 2011

10.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

(146) SAN TOMMASO, op. cit., I, q. 25, a. 6, ad. 1.
(147) “Se Dio non volesse nient'altro che se stesso, sarebbe altrettanto perfetto quanto
lo è ora; volere le altre cose non gli aggiunge nessun'altra perfezione... Bisogna
concedere, senza nessun inconveniente, che per Dio volere le altre cose è una
perfezione volontaria ed assolutamente libera” (GAETANO, I, q. 19, a. 2, nn. 2 e 3).
Questa perfezione è libera in quanto si estende liberamente alle cose esteriori che
possono essere e non essere (GIOVANNI DI SAN TOMMASO, I, q. 19; disp. 4, a. 4,
n. 16, ed. Vivès, tomo 111, p. 261).
(148) “Per quanto alta sia la gloria esteriore di Dio, rappresentata dalle creature, si
può sempre concepirne un'altra che sarà più eccellente, senza che vi sia alcuna
necessità di arrestarsi. Di conseguenza, Dio stesso non potrebbe mai scegliere di
realizzare il meglio. Egli sceglierà sempre qualche cosa che è al di sotto, numquam
potest Deus eligere id quod praestantissimum est, sed semper cligit aliquid minus; la
creazione infatti offrirà sempre la possibilità di realizzazioni migliori per una
maggiore gloria di Dio. Perciò Dio non può essere legato da alcun obbligo morale a
scegliere il meglio” (ID., I, q. 19; disp. 4, a. 7, n. 16, ed. Vivès, tomo III, p. 313).
GAETANO (I, q. 25, a. 6, nn. 3-7), segnala l'errore di coloro che negano che ci sia
un'infinità di mondi possibili, ciascuno del quali è migliore del precedente. In fondo
essi immaginano che, elevandosi indefinitamente da Un mondo creato ad un mondo
superiore, si potrebbe varcare l'abisso che separa il creato dall'increato. Si
raggiungerebbe dunque un mondo creato al quale non si possa fare la minima
aggiunta, senza che esso divenga tosto increato.
MALEBRANCHE, nell'opera De la nature et de la grace, sostiene a sua volta che, se
Dio crea, non può che creare un mondo perfetto, e aggiunge che, di conseguenza,
l'incarnazione del Verbo era indispensabile, perché senza di essa il mondo sarebbe
indegno di Dio. (Sulla Réfutation du système du P. Malebranche di FÉNELON,
vedere H. LECLÈRE, in “Revue Thomiste”, 1953, pp. 347 sgg.).
(149) LEIBNIZ non mette in dubbio che la moltitudine del mondi sia infinita.
All'obiezione che “un universo possibile può essere migliore di un altro, all'infinito”,
egli, a dire il vero, non ha che una sola risposta da opporre: e cioè che, in questo caso,
bisognerebbe rinunziare a credere in Dio: “Se questa opinione fosse vera, ne
conseguirebbe che Dio non ne avrebbe prodotto nessuno; Egli infatti è incapace di
agire senza ragione, e si tratterebbe proprio di agire contro ragione”.
Deve dunque ricorrere a delle scappatoie. Egli immagina la moltitudine infinita del
mondi possibili disposta come una piramide priva di base, il cui vertice è occupato
dal nostro mondo.
Leibniz pensa che anche se fosse vero che si può passare indefinitamente da una
creatura particolare ad un'altra, ciò non si può applicare all'universo “il quale,
dovendo estendersi per tutta l'eternità futura, è infinito”.
Il Gaetano rispondeva che un universo, anche infinito, non può esserlo che in un
senso: al di sopra di un universo composto di un'infinità di minerali e dotato di
perpetuità, si può supporre un altro universo con del vegetali, poi degli animali, poi
degli uomini, poi degli angeli, ciascuno del quali è più splendido del precedente.
Leibniz paragona Dio, se questi decretasse di fare un mondo che non fosse. il
migliore, ad un operaio che decidesse di fare una sfera senza stabilirne il diametro.
Ma se è assurdo scegliere una sfera senza diametro, non lo è, in mezzo ad un'infinità
di opere possibili, scegliere una certa sfera di un certo diametro (Cfr. Teodicea, nn.
195-96, 416).
(150) La Teodicea è del 1710. PIETRO BAYLE, nato nel 1647 da genitori
protestanti, si convertì al cattolicesimo dopo un mese di soggiorno a Tolosa, nel
marzo del 1669.L'anno successivo, quando studiava soltanto da quattro o cinque mesi
la filosofia nel collegio del gesuiti, "essendogli apparso sospetto il culto eccessivo che
- vedeva rendere alle creature, ed avendogli la filosofia fatto conoscere meglio
l'impossibilità della transustanziazione” (sono le sue testuali parole), ritornò al
protestantesimo. Morì a Rotterdam nel 1706, ov'era venuto in conflitto con i ministri
protestanti. Il Dizionario apparve per la prima volta nel 1797. La sua intenzione si
ricongiungerà con quella dell'Enciclopedia.
Essa si congiungerà evidentemente anche con quella del Dizionario filosofico
portatile di VOL TAIRE, nel quale si può leggere sotto la parola Bene: “La questione
del bene e del male rimane un caos inestricabile per coloro che cercano in buona fede;
è un gioco di spirito per coloro che discutono; sono del forzati che giocano con le
loro catene... Mettiamo in fondo a quasi tutti i capitoli di metafisica le due lettere del
giudici romani quando non comprendevano una causa: N.L., non liquet, non è
chiaro”. E' ciò che Voltaire chiama altrove con un bell'eufemismo: “Non volere
essere filosofo, ma uomo”.
“Del forzati che giocano con le loro catene”? No! Non è un gioco quella torturante
domanda che sale incessantemente, dalle profondità dell'intelligenza umana e
“quell'ardente singhiozzo che passa di età in età”. Non cercare la liberazione
significherebbe cessare di essere uomo.
(151) Il cristianesimo che Leibniz professa nella Prefazione alla Teodicea, non è
altro, in verità, che una religione naturale. Esso è propriamente svuotato di tutto il
suo mistero: “Gesù Cristo finì di trasformare la religione naturale in legge e darle
l'autorità di un dogma pubblico. Egli fece da solo ciò che tanti filosofi avevano
invano tentato di fare: ed avendo infine i cristiani il sopravvento nell'impero romano,
padrone della parte migliore della terra allora conosciuta, la religione del sapienti
divenne quella del popolo. Maometto più tardi non si staccò affatto da quei grandi
dogmi della teologia naturale...”.
(152) LEIBNIZ scrive: “L'amore che Dio ha per sé gli è essenziale, ma l'amore della
sua gloria (esteriore) o la volontà di procurarla, non lo è affatto: l'amore che egli ha
per se stesso non l'ha per nulla costretto alle azioni al di fuori: esse sono libere”
(Teodicea, n. 233). Questo è giustissimo, ma ecco qualcosa che è meno giusto: “La
decisione di creare è libera: Dio è portato ad ogni bene; il bene, ed anche il meglio, lo
spinge ad agire; ma non lo costringe: la sua scelta infatti non rende impossibile ciò
che è diverso dal meglio, non fa sì che ciò che Dio tralascia, presupponga una
contraddizione. C'è dunque in Dio una libertà esente non soltanto dalla costrizione ma
anche dalla necessità. Intendo parlare della necessità metafisica, poiché è per una
necessità morale che il sapiente è costretto a scegliere il meglio” (ID., n. 230). “Dio
ha scelto fra differenti partiti tutti possibili: così, metafisicamente parlando, poteva
scegliere o fare ciò che non era il meglio; ma non poteva, moralmente parlando”
(IBID., n. 234). “La necessità metafisica è tanto assurda in rapporto alle azioni di
Dio, ad extra, quanto la necessità morale è degna di lui” (IBID., n. 175).
Introducendo in Dio una necessità morale di creare, si offende la sua trascendenza, si
misconosce la sua indifferenza dominatrice assoluta di fronte a tutto il creato. Egli
può creare o non creare: se crea, l'unica cosa che è tenuto a fare, sotto pena di
distruggere se stesso, è di creare un mondo buono, nel quale il male non prevalga
definitivamente sul bene. Ma proclamare la sovrana indifferenza con la quale l'atto
creatore può realizzare questo o quel mondo possibile, è tutt'altra cosa che dire con
Descartes che Dio può rendere metafisicamente possibile ciò che è metafisicamente
impossibile, fare un circolo quadrato, una valle senza montagne. Qui Leibniz ha
ragione di opporsi a Descartes. Leibniz ha pure ragione di protestare contro
l'aberrazione che attribuisce a Dio una libertà d'indifferenza fra il bene ed il male,
dimodochè nulla sarebbe ingiusto o moralmente cattivo, di fronte a Dio e prima del
suo divieto e che, senza tale divieto, sarebbe indifferente amare Dio o odiarlo (IBID.,
n. 175-76). SAN TOMMASO scrive: “Dire che ciò che è giusto dipende dalla
semplice volontà di Dio (non dalla sua intelligenza) significa dire che la volontà
divina non procede secondo l'ordine della sapienza; e questa è una bestemmia” (De
veritate, q. 23, a. 6). (V. indietro, p. 105).
(153) “Se già le cose della natura, secondo la misura nella quale divengono più
perfette, comunicano attorno a loro il bene loro proprio, a più forte ragione conviene
alla volontà divina far partecipare altri esseri al bene che è in lei, per quanto ciò è
possibile. Dio dunque vuole se stesso come un fine; e vuole le creature come ordinate
a questo fine, per il fatto che alla bontà divina conviene di effondersi in esse” (SAN
TOMMASO, op. cit., I, q. 19, a. 2): “Utrum Deus velit alia a se?”.
Il Padre R. GARRIGOU-LAGRANGE, Dieu, son existence et sa nature
(Beauchesne, Paris 1919, p. 661), scrive: “L'atto creatore è libero... Ciò vorrà dire che
esso è senza motivo, senza ragione sufficiente? Per nulla. C'è un'altissima
convenienza nel fatto che Dio crei. Ma questa convenienza è così forte da costituire
una necessità morale, come vorrebbe Leibniz? Ne conseguirebbe che Dio non sarebbe
né buono, né saggio, se non creasse, e che gli mancherebbe una perfezione
necessaria? Assolutamente no”.
(154) Secondo il concilio Vaticano primo, Dio ha creato “per un liberissimo disegno”
(Denz., n. 1783); “per una volontà esente da ogni necessità” (Denz., n. 1805). La
seguente proposizione di ROSMINI è stata condannata da Leone XIII: “L'amore col
quale Dio si ama anche nelle creature, e che è la ragione per la quale egli si decide a
creare, costituisce una necessità morale, che nell'essere sommamente perfetto è
sempre seguita da effetto” (Denz., n. 1908).
(155) LEIBNIZ, Teodicea, n. 8, 195; e fine del Compendio.
(156) ID., Teodicea, n. 21.
(157) IBID., n. 20.
(158) “Il miglior partito non è sempre quello che tende ad evitare il male, perché può
darsi che il male sia accompagnato da un bene maggiore” (IBID., Compendio).
(159) IBID., Teodicea, nn. 9-10.

CAPITOLO QUINTO

IL MALE DELLA NATURA
Parleremo dell'ordine del mondo secondo gli antichi e secondo i moderni;
poi della sofferenza degli animali.
I. IL PUNTO DI VISTA DEGLI ANTICHI

I) Gli antichi dottori come san Tommaso sono molto sobri sulla questione
del male della natura. Si accontentano di segnalare che “gli agenti naturali
tendono non ad una privazione? ad una corruzione, ma ad una forma, ad
un vantaggio che, è pur vero, comporta la distruzione di un'altra forma;
dimodochè la generazione di una cosa porta con sé la corruzione di
un'altra: il leone che uccide la gazzella cerca il suo nutrimento che non è
possibile senza l'uccisione di animali”; le distruzioni sono tollerate in vista
all'ordine universale (I). “Colui che è responsabile (provisor) del bene
universale permette che vi sia qualche deficienza nei casi particolari,
affinché non sia intralciato il bene del tutto. E' così che le corruzioni e le
manchevolezze nelle cose naturali vanno contro una natura particolare, ma
sono nel quadro della natura universale, in quanto la deficienza che
colpisce una cosa serve al bene di un'altra, oppure di tutto l'universo. La
corruzione di una cosa infatti è la generazione di un'altra, donde deriva il
succedersi della specie. E siccome Dio è il responsabile universale di tutto
l'essere, appartiene alla Sua provvidenza permettere che ci siano certe
manchevolezze nelle cose particolari, onde non sia intralciato il bene
perfetto dell'universo. Se infatti tutti i mali fossero soppressi, molti beni
mancherebbero all'universo. La vita del leone non è possibile senza
uccisione di altri animali...” (2). “Molti beni sarebbero soppressi se Dio
non permettesse ad alcun male di esistere. Il fuoco non si accenderebbe se
l'aria non fosse corrotta, la vita del leone non si conserverebbe se l'asino
non fosse ucciso” (3).

Andiamo fino al fondo di questa strada. Il male fisico è reale. “Ma questo
male reale è, alla fine, assorbito dal bene che lo spiega; esso riguarda un
ordine particolare che è strumentale ed è riduci bile riguardo all'ordine
universale. Consideriamo il caso di animali buoni o cattivi, non dico
riguardo all'uomo che se ne serve, ma riguardo al loro ordine particolare;
per un animale, essere zoppo, è cosa contraria alla legge del suo ordine
particolare; tale è pure il caso delle galline che uccidono i loro pulcini,
cosa che non è nell'ordine particolare della loro natura; oppure il caso delle
formiche perverse, corrotte, che per godere del prodotto zuccherino che ne
estraggono, nutrono degli insetti addomesticati che divorano le uova del
formicaio o succhiano il sangue delle formiche. In questi casi l'ordine
particolare leso è strumentale riguardo all'ordine universale. Riguardo
all'ordine universale, non è male, è bene che quell'animale sia zoppo, che
quella gallina divori i suoi pulcini, che quelle formiche siano pervertite
dalla passione di quella droga” (4). Quando un cane, ad esempio, viene
meno a quella legge particolare che è la legge della natura canina, non fa
altro che obbedire alla legge universale della natura in ragione della quale
è nato con quella deficienza. Esso è soltanto vincolato nell'ordine
ontologico, non nell'ordine morale (5). L'errore consisterebbe nello
spiegare il male dell'uomo, che dipende, come noi sappiamo dalla
rivelazione, dal male morale della colpa o della pena,. come si spiega il
male fisico dell'animale, nel dire “che quel male commesso da un uomo o
sofferto da un uomo è un male in rapporto all'individuo in questione, ma
che in rapporto all'ordine dell'universo è un bene” (6).

2) Gli antichi sapevano che gli esseri si divorano fra loro, che i più grandi
mangiano i più piccoli e così di seguito, per essere alla fine mangiati dai
microrganismi; che
La fame sacra è un lungo omicidio legittimo
Dalle profondità dell'ombra ai cieli splendenti.
L'immagine che essi si facevano della natura era certamente quella di una
lotta universale e perpetua, di una lotta per la vita, di un ordine duro,
implacabile, sanguinoso, ma di un ordine tuttavia irrefutabile e grandioso.


2. LE RICERCHE MODERNE: COME CONCEPIRE L’ORDINE DEL
MONDO ?

a) E' l'ordine di un universo invitato a compiersi.
Le ricerche moderne permettono di precisare su qualche punto questa
prospettiva d'insieme, facendo ci assistere, per così dire, alla formazione
del nostro universo, e descrivendoci le grandi tappe della sua evoluzione.
L'ordine che gli antichi ammiravano non è stato creato tale e quale nella
sua compiutezza: esso ha una storia. E' il risultato d'una straordinaria
avventura nella quale vediamo i particolari della materia raccogliersi
secondo delle architetture più o meno complesse, dare origine a composti
sempre più ricchi e più differenti. Successivamente la vita può apparire
prima di tutto nei microrganismi; essa si propaga e si differenzia,
prorompe con la moltiplicazione delle grandi specie vegetali ed animali.
La creazione non è un'opera di parsimonia in cui ogni elemento, ogni
particolare ha un compito definitivo, un incarico insostituibile, in cui ogni
avvenimento si può spiegare sufficientemente in funzione dello stato
presente del mondo. Essa è l'opera di una profusione inaudita; è
l'espressione d'una spinta ascensionale dotata di virtualità infinite; è come
uno zampillo che sale, in cui l'ordine nasce, per una specie di miracolo, in
mezzo a tentativi di ogni genere, a schizzi, ad abbozzi, a smacchi e ad una
quantità di tentativi senza seguito (7). Si sarà d'accordo nel riconoscere
che simili ricerche, che allargano in modo singolare la nostra visione,
toccando il necessario garbuglio del bene e del male nel mondo della
natura, sono adatte a preservarci da molte ingenuità ed anche da molte
presunzioni.

b) L'ipotesi dell'atomo primitivo.
I) Lo studio della struttura attuale dell'universo conduce la maggioranza
degli astrofisici a supporre un momento (forse cinque miliardi di anni or
sono) in cui non c'erano né terra, né pianeti, né sole, né stelle, né nubi
interstellari, né galassie, né molecole, né atomi. La materia esisteva sotto
una forma pre-atomica: “Ce la rappresentiamo come una sostanza gassosa,
composta di particelle (protoni, elettroni, neutroni) di cui sono formati gli
atomi, o semplicemente di neutroni, oppure più semplicemente ancora
come un pre-atomo. Gli avvenimenti che dovevano successivamente
trasformarla in elementi (idrogeno, ferro, carbone),... non erano ancora
incominciati; l'universo era ancora in attesa” (8).
Che cosa è accaduto? Nell'universo, che si immagina come un atomo
primitivo straordinariamente denso ed instabile, avente le dimensioni
minime del nostro sistema solare, un'esplosione scatena un processo di
espansione, nel corso del quale, sotto l'azione congiunta delle forze di
attrazione e di repulsione, si formano, in momenti molto più ravvicinati fra
loro di quanto si fosse creduto in un primo tempo, i nostri elementi
chimici, le galassie, le stelle, il sole, la terra. Due miliardi di anni dopo
l'esplosione, l'universo aveva raggiunto la sua struttura attuale, ma dopo
quel tempo, sotto l'azione incessante della forza espansiva, la distanza fra
le galassie è già decuplicata. Questo è il senso dell'“ipotesi dell'atomo
primitivo” o dell'universo che cresce come “una sfera in espansione”, che
permette di accogliere e di coordinare fra loro i dati oggi conosciuti
dell'astrofisica (9). Il passaggio dallo stato preatomico della materia a stati
distinti fra loro, la costruzione di atomi, poi di molecole sempre più
complesse, rappresenta la prima grande tappa della trasformazione
dell'universo, che si realizza in seno al regno delle attività fisico-chimiche,
e che ci condurrà alla soglia del regno delle attività biologiche.

2) L'ordine sorto da un tale passato entusiasma i sapienti. Albert Einstein
scrive: “Quale fede profonda nella razionalità dell'edificio del mondo e
quale ardente desiderio di cogliere, non foss'altro che il riflesso della
ragione rivelata in questo modo, doveva animare Keplero e Newton,
perché abbiano potuto districare con un lavoro solitario di lunghi anni,
l'ingranaggio della meccanica celeste!... Il sapiente è penetrato dal
sentimento della causalità di tutto ciò che accade... La sua religiosità
consiste nello stupore estatico di fronte all'armonia delle leggi della natura,
nella quale si rivela una ragione così superiore che tutti i pensieri
ingegnosi degli uomini ed il loro ordine non sono altro, in confronto, che
un riflesso del tutto insignificante. Questo sentimento è il leitmotiv della
sua vita e del suoi sforzi, nella misura nella quale si può elevare al di sopra
del suoi desideri egoistici” (10).

c) L'ordine astronomico non è quello di una macchina, ma il risultato di
una storia.
Colpiti dalla regolarità delle rivoluzioni siderali “gli antichi attribuivano
alle sfere celesti una struttura divina ed eterna”. Per la stessa ragione,
talvolta, “si è tentati di guardare l'universo come una macchina il cui piano
di costruzione abbia valore di una struttura essenziale e che imponga a
tutti gli avvenimenti la stessa necessità che un'essenza geometrica impone
alle sue proprietà (concezione spinoziana della natura). Ma in realtà le
cose vanno del tutto diversamente: il mondo degli astri e, in particolare, il
sistema solare sono il risultato di una lunga evoluzione imposta
contemporaneamente dalle esigenze della materia e da una serie immensa
di posizioni di fatto” (11).
Se gli avvenimenti astronomici “di fatto accadono sempre e non sono mai
ostacolati, ciò non impedisce tuttavia che avrebbero potuto di fatto e che
potrebbero di diritto essere ostacolati e non accadere. Che il sole domani
sorga, che Nettuno compia in 165 anni la sua rivoluzione intorno a se
stesso sono avvenimenti che non risultano soltanto dalla natura della
materia, ma da un'immensa moltitudine di posizioni di fatto che hanno
avuto luogo nel passato, nel corso della genesi del mondo degli astri, e che
se una causa perturbatrice sopravvenisse nel sistema solare, (cosa che la
scienza astronomica ci garantisce che, di fatto, è per il momento la più
improbabile che si possa immaginare) potrebbe impedire che si
producessero; una volta costituito il sistema che li condiziona, essi
dipendono da una necessità di diritto, ipotetica, sufficiente in realtà,
perché in realtà le cause capaci di impedirla non esistono, ma questa
inesistenza stessa è ancora una posizione di fatto; essi appartengono ad
una specie di avvenimenti contingenti che accadono, di fatto sempre e che
prendono l'aspetto di avvenimenti necessari di diritto. Sono gli
avvenimenti contingenti quasi necessari di diritto” (12).

Un'eclissi, perché risulta dall'incontro di due serie causali indipendenti, è
un avvenimento dovuto al caso: essa è però rigorosamente calcolabile e
prevedibile, poiché il tragitto della terra attorno al sole, ed il tragitto della
luna attorno alla terra sono entrambi assolutamente regolari e
rappresentano degli avvenimenti contingenti quasi-necessari di diritto. Si
dirà di conseguenza che l'eclissi è un avvenimento dovuto al caso
mascherato.
“Se il sistema solare fosse una macchina, un'eclissi non sarebbe un
avvenimento dovuto al caso mascherato, ma un avvenimento quasi-
necessario di diritto, perché la pluralità degli elementi in gioco nella
macchina dipenderebbe dall'unità della struttura essenziale di questa, quale
l'ingegnere che l'ha fabbricata l'ha concepita. Ma il sistema solare non è
una macchina come non lo è l'universo stesso... Esso è risultato dalla lunga
evoluzione storica d'un gran numero di fattori che agiscono gli uni sugli
altri, non unificati precedentemente nella causalità di qualche agente
naturale che sia la causa propria dell'unità del tutto. Senza dubbio la Causa
prima intelligente ha diretto questa evoluzione storica secondo il suo piano
creatore, ma Dio non è un orologiaio, un fabbricatore di orologi, è un
creatore di nature. Il mondo non è un orologio, ma una repubblica di
nature; e l'infallibile causalità divina, per il fatto stesso che è trascendente,
fa accadere gli avvenimenti secondo le loro proprie condizioni:
necessariamente gli avvenimenti necessari, contingentemente gli
avvenimenti contingenti, casualmente gli avvenimenti casuali” (13).

Sono appunto quegli avvenimenti astronomici che prendono l'aspetto di
avvenimenti necessari, ma che risultano da una moltitudine di posizioni di
fatto, e sono, di conseguenza, contingenti, che da più di un miliardo di
anni, per una specie di “fenomeno misericordioso” di cui Pierre Termier
(14) si meraviglia, permettono alla terra di realizzare, senza che si sappia
come, gli elementi d'un equilibrio straordinariamente delicato che
condiziona in lei la comparsa, la conservazione e lo sviluppo della vita
(15).
d) La contingenza dell'ordine biologico: sorprese e tentativi.

I) L'universo non è una macchina, ma il risultato di una lunga storia. Dio
non è un orologiaio, ma un creatore di nature, di cui dirige le attività senza
far loro violenza, facendo accadere necessariamente gli avvenimenti
necessari, contingentemente gli avvenimenti contingenti, fortuitamente gli
avvenimenti fortuiti. Ciò che è vero riguardo al mondo minerale, lo è più
ancora, in modo incomparabile, riguardo al mondo della vita (16). Le
forme della vita non si spiegano totalmente in riferimento alla struttura
presente del mondo; esse hanno una storia, risultano da innumerevoli
incroci di cause, sotto la spinta dell'onnipotenza divina che, avendo creato
l'universo, ne utilizza a poco a poco le energie, onde forzarlo a superare se
stesso, mentre l'ordine inferiore è elevato fino a produrre la disposizione
penultima rispetto all'ordine superiore, dimodochè il minerale prepara il
vegetale, questo l'animale e questo, forse, l'uomo.

Un tale quadro è chiarificatore. Esso spiega gli assaggi della vita, i suoi
tentativi, le sue bizzarrie, le sue mostruosità (17), le sue sconfitte.
Previene lo scandalo che potrebbe provocare in una ragione troppo
semplicista la conservazione degli organi rudimentali, la comparsa del
caratteri regressivi, delle degenerazioni, del fenomeni di distelia (o
disteleologia), d'ipertelia, di atelia (18). Non si crederà più, ad esempio,
che i parassiti siano stati creati appositamente per tormentare gli animali;
essi sono usciti dallo zampillo della vita sotto qualche forma ancora
indifferenziata, ma già ricca di possibilità di adattamento; e, riuscendo
fortuitamente ad attaccarsi ad altri animali, sono divenuti ciò che sono
(19).

2) Per illustrare con una specie di parabola i processi della formazione
della vita, trascriviamo una pagina della Leggenda di Prakriti, in cui il
poeta, attraverso alla sua esperienza di creatore, tenta di ritrovare le vie
attraverso le quali Dio, usando la Sua magnanimità e condiscendenza,
chiama in certo modo in Suo aiuto le forze vive, la spontaneità e le risorse
delle Sue proprie creature per costruire il Suo universo nel corso del
millenni:
“Tutto ciò che ha ricevuto da Dio un nome, è in grado di rispondere a
questo nome, ha la responsabilità di fornirgli un certo effetto, beneficia di
un'energia propria la quale gli permette di provvedere a quell'esigenza che
le è superiore e a quell'opera che le è assegnata...

“Da quando siamo gli invitati di Prakriti e partecipiamo alla sua tregenda,
abbiamo avuto il tempo di studiarla e di comprendere i suoi modi di fare.
Approfittiamo di questo momento in cui essa finge di dormire per
raccogliere i nostri appunti. Quante contraddizioni e, nello stesso
momento, quanta ostinazione nelle idee! Quanta esperienza e quanta
fantasia! Quanta ingenuità e quanta bricconeria! Quale istinto conservatore
e quale furore rivoluzionario! Quanta dissimulazione e quanto fracasso!
Quanta pazienza e quanti risvegli! Dopo secoli e millenni, durante i quali
ha messo in piedi tutta una serra ed un serraglio, improvvisamente si
direbbe che se ne è disgustata, che le dà nausea, che rovescia il vassoio
con uno spintone del braccio e che ricomincia con capitoli nuovi.
Scaraventa nella fognatura degli interi ordini con i loro generi, i loro
sottogeneri e le loro specie, e non conserva altro che un pidocchio ed una
cavalletta. E nello stesso tempo conserva accuratamente in fondo a se
stessa certi principi, che non abbandona mai, per esempio la simmetria,
certe idee, dalle quali non ha mai finito di trarre degli sviluppi, come la
stella che si ritrova ovunque dalla cellula primitiva fino a quelle mani
sagge e lavoratrici che, in fondo alle braccia, l'uomo porta su tutta la
creazione che alza verso Dio. Ci si può fidare di lei per sfruttare fin nei
minimi particolari tutte le possibilità di una situazione e di una forma
stabilita. Quando, per esempio, il tema della palma o quello della felce o
quello del fungo è messo a concorso, essa propone varianti a decine di
migliaia. Si dà un gran da fare a dipingere sul petto del suoi uccelli o del
suoi pesci gli stemmi che loro appartengono. C'è tutto un reparto
decorativo e riguardante l'abbigliamento nella natura, una tecnica da,
sarta... Essa nasconde delle "sorprese" e degli indovinelli in fondo ad
alcune delle sue creazioni, come il pasticciere mette una fava nella
focaccia dell'Epifania. Ed altre volte, si annoia, si impunta, si ostina, si
abbandona a tutti gli abusi della produzione industriale, moltiplica, a
danno di tipi superbi, gli articoli più comuni, si direbbe che non può più
fermarsi. Oppure ha ricevuto evidentemente un'ordinazione e si è fermata
a metà dell'esecuzione, si direbbe che l'ha trovata troppo difficile o che,
improvvisamente, si è messa a pensare ad altro. Essa sogna, sbadiglia, dice
di sì, dice di no, capisce al contrario, si abbandona a del giochi di parole
adatti ad una persona sorda, a meno che non si tratti che di semplici
scherzi. Per esempio, le si dice: cavallo, ed essa fabbrica tosto quella
ridicola pedina del gioco degli scacchi, che si chiama ippocampo, e lo
getta nel suo acquario... Oppure talvolta è colta da un entusiasmo
eccessivo: le si era detto lucertola, ed essa ha fatto un ittiosauro; le si era
detto: coda di cavallo, ed essa introduce con orgoglio del setoloni grandi
come del pini e del tutto inutilizzabili. Non si finirebbe mai di passare in
rassegna le riserve, gli scaffali della merce rifiutata, del ferri vecchi, del
pezzi difettosi, degli esperimenti, del granchi presi. I conservatori di musei
rovistano là in mezzo con commozione, come un sarto in mezzo agli abiti
della nonna. Ma ciò che vi è di più profondo nella natura è la comica
birichineria; si direbbe che Prakriti sa benissimo che il suo creatore non
l'ha fatta che per divertirsi con lei, sebbene finga di non accorgersene. Non
fa mica male la sua parte, essa è una complice. E, quando la si sgrida,
chiude gli occhi, e con un sorriso incantatore, da una rosa pura come il
respiro di una fanciulla manda fuori una farfalla” (20).

http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

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