DON ANTONIO

mercoledì 21 settembre 2011

6.IL MALE.Saggio teologico del cardinale Charles Journet Professore al Seminario Maggiore di Priburgo

2. LE DUE FORME DEL MALE DELL'UOMO
Rimane, come abbiamo detto, un punto da precisare. Che cosa pensare del
male fisico che colpisce l'uomo, delle sue infermità, della vecchiaia, della
malattia, della morte? Non sono forse l'inevitabile conseguenza della vita
sensibile? Naturali nell'animale, non lo sono forse altrettanto nell'uomo?

La ragione cozza qui contro un mistero. Essa sa, da una parte, che l'uomo,
come persona, cioè come centro spirituale di attività intellettuale e di
libertà, è più grande dell'universo delle cose visibili, che non ne è una
parte, che è un tutto autonomo. Essa vede, d'altra parte, ch'egli è persona
umana, che attraverso al suo corpo è impegnato nella marea del cosmo,
che è parte della natura e soggetto alle sue leggi. Il desiderio dell'uomo
come persona sarebbe di eludere la sofferenza e la morte, ma la sua
condizione come essere sensibile è, evidentemente, di subire il loro
attacco: donde gli deriva una specie di discordanza, che la ragione,
abbandonata soltanto ai suoi lumi, è incapace di sopprimere.

L'uomo avrebbe potuto, infatti, essere creato nello stato di natura pura,
semplicemente con ciò che richiede la sua definizione di animale
ragionevole. In questo caso la filosofia, per giustificare le sue prove, le sue
sofferenze, la morte del bambini, a quale altra spiegazione potrebbe
ricorrere se non al gioco delle leggi biologiche, assimilandole a quei mali
particolari che sono la taglia fatale del bene totale dell'universo? Il
desiderio dell'uomo di sfuggire alla sofferenza ed alla morte essendo, come
il suo desiderio di vedere Dio faccia a faccia, condizionale ed inefficace - è
ciò realizzabile? è anzi possibile? - rimarrebbe uno scandalo. (Abbiamo or
ora accostato, dicendoli entrambi condizionali ed inefficaci, il desiderio di
vedere Dio faccia a faccia ed il desiderio di non morire. Vi è tuttavia un
abisso, messo in evidenza da san Tommaso (11), fra questi due desideri. Il
desiderio della visione divina supera assolutamente l'aspirazione di ogni
natura creata o creabile; può essere frustato nei bambini morti senza
battesimo, senza che vi sia in essi l'ombra di sofferenza. Il desiderio di non
morire oltrepassa il voto del composto umano, della natura umana come
tale; non oltrepassa l'aspirazione dell'anima spirituale che è forma del
corpo. E' per questo che san Tommaso dirà che la risurrezione finale del
corpi, che rappresenta un immenso miracolo, sarà in certo modo naturale;
il desiderio di ritrovare il proprio corpo non sarà frustrato in nessun uomo)
(12).
La rivelazione ci insegna che l'amore divino è stato sovrabbondante, che
l'uomo è stato da principio rivestito della giustizia originale che
comportava i privilegi dell'immortalità, che esaudiva il suo desiderio di
persona e che doveva essere trasmesso attraverso la generazione a tutta la
sua discendenza. Tali privilegi non ci sono pervenuti. Perciò, le stesse
miserie corporali e la morte, che sarebbero state normali, benché
paradossali, nello stato di natura pura, ci appaiono ora come la
conseguenza di una caduta, e quindi assumono un carattere penale (13).
Esse cessano di dipendere dal male di natura. Dimodochè le due sole
forme di male che colpiscono l'uomo dipendono oggi o dal male della
colpa, o dal male della pena, che può essere o subita controvoglia o
illuminata da Gesù (14).

3. SOVRANITÀ DEL MONDO SOPRANNATURALE
I concetti del bene e del male, che sono analogici, trovano, nel mondo
della grazia, delle realizzazioni così intense, che sono in grado di
polarizzare tutte le forze inferiori del bene e del male, di colorirle col loro
riflesso e di cambiare in qualche modo il loro segno.
E' così che i mali temporali diventano del beni, cioè delle occasioni di
bene, per i giusti che li sopportano nell'amore, e che i beni temporali
divengono del mali, cioè delle occasioni di male, per i peccatori del quali
alimentano le passioni. Tali sono le alchimie contrarie della grazia e del
peccato.

Non c'è, in fondo, se non un male supremo che può guastare tutti i beni ed
al di fuori del quale non c'è nulla da temere: il peccato; e non c'è che un
bene supremo che può illuminare tutti i mali e per il quale bisogna dare
tutto: la carità.

Ecco l'argomento cristiano che sant'Agostino non tralascia mai di ripetere
ai cristiani scandalizzati per la caduta di Roma ed il trionfo del barbari
(15). E' l'argomento ripreso, dopo tanti altri da Enrico Suso nel capitolo del
Libro della Saggezza eterna, dove è dichiarata «l'immensa nobiltà» delle
sofferenze temporali: «Signore, quando vi guardo con amore, delizia del
miei occhi e del mio cuore, mi sembra ora che le mie grandi sofferenze,
con le quali mi avete così paternamente provato, e di cui si spaventano per
me i Vostri devoti amici, non siano state che una dolce rugiada di maggio»
(16). Era già l'argomento della parabola del ricco vestito di porpora che
viveva nella più splendida abbondanza: «Figlio mio gli disse Abramo -
ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita, e che allo stesso modo
Lazzaro ha avuto i suoi mali. Ora egli è qui consolato, e tu soffri» (Lc.,
XVI, 25).

NOTE
(1) «Cum enim malum opponatur bono, necesse est quod secundum divisionem boci
dividatur malum» (SAN TOMMASO, op. cit., q. l, a. 4).
(2) Soltanto il terzo corrisponde esattamente al terzo ordine di PASCAL (Pensées, ed.
Br., n. 793).
(3) L'amore di natura, per il quale l'angelo ama Dio più di se stesso, dura anche
nell'inferno, dove coesiste con la rivolta contro Dio; donde lo strazio del demoni.
(Cfr. SAN TOMMASO, op. cit., I, q. 60, a. 5, ad. 5).
(4) J.MARITAIN, Une philosophie de la liberté in Du régime tcmporel et de la
liberté, Desclée De Brouwer, Paris 1933, p. 30Desclée De Brouwer, Paris 1949
(5) ID. Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, Tequi, Paris
1951, p. 71. (V. Avanti, p. 220, 277-79)
(6) «La natura razionale ed intelligente si comporta di fronte al bene ed al male
diversamente dalle altre creature. Queste, infatti, sono disposte naturalmente ad un
bene particolare. Soltanto la natura intellettuale coglie il concetto comune di bene per
mezzo dell'intelligenza e si muove verso il bene comune attraverso al desiderio della
volontà. Per questo, il male della creatura ragionevole si distingue, secondo una
divisione speciale, in colpa ed in pena» (SAN TOMMASO, op. cit., q. I, a. 4).
(7) ID., I, q. 48, a. 5; q. I, a. 4.
(8) IBID., (I, q. 19, a. 9; q. 48, a. 5, ad. 2). «Se il bene è di per sé oggetto della
volontà, il male, in quanto privazione del bene, avrà un regime speciale, nelle
creature ragionevoli, dotate di volontà» (IBID., I, q. 48, a. 5).
(9) «L'ignoranza e la concupiscenza costituiscono gli elementi materiali del peccato
originale; la privazione della giustizia originale costituisce il suo elemento formale»
(IBID., q. 3, a. 7. Cfr. I-II, q. 76, a. 2. V. avanti, p. 259).
(10) La divisione del male, secondo W. Jankélévitch
, è più sommaria. Egli oppone «il
male primario o metempirico, che è il male dell'assurdo, alla gamma del mali
empirici, guerre, sofferenze, supplizi che sono mali di collera. C'è uno scambio
continuo fra l'assurdo e lo scandalo, fra il male di assurdità costituzionale ed i mali di
cui la nostra volontà ha molto scandalosamente l'iniziativa». Egli colloca fra i mali di
assurdità «l'imperfezione generale..., il disordine generale... C'è del marcio quaggiù:
vale a dire che l'Essere è abborracciato, che potrebbe essere meglio di ciò che è, che è
ciò che non dovrebbe essere»; e precisamente, da una parte, l'imperfezione degli
esseri creati che Leibniz chiamava un male metafisico, ma per noi non è un male; e
dall'altra parte, ciò che noi chiamiamo il male della natura, al quale aggiunge la
nostra necessità di morire, che secondo san Paolo è penale. (W. JANKÉLÉVITCH,
Le mal, in «Cahiers duCollège Philosophique», Arthaud, Paris 1947, pp. 8-9).
(11) SAN TOMMASO, De malo, q. 5, a. 5, ad. 5.
(12) ID., IV Sent., dist. 43, q. l, a. l, ad. 3.
(13) «La morte e tutte le miserie corporali» che risultano dalla privazione della
giustizia iniziale «sono da annoverare fra le pene del peccato originale» (IBID., I-II,
q. 85, a. 5).
(14) «Il dolore di un uomo è il dolore di una persona, di un tutto. Qui l'uomo non è
più considerato come parte dell'universo ma come persona; è considerato come un
tutto, un universo a sé; il fatto di subire quel dolore come parte dell'universo, nel
quadro della natura o del mondo come opera d'arte di Dio, non esclude il fatto che,
dal punto di vista della persona, esso sia un'anomalia incomprensibile. La persona
chiede, conforme ad un desiderio condizionale ed inefficace ma reale e naturale..., di
non soffrire e di non morire. Nello stato puramente naturale, queste aspirazioni della
persona sarebbero rimaste eternamente insoddisfatte... Vediamo, in questo, la ragione
più profonda della convenienza dell'elevazione della creatura intelligente all'ordine
soprannaturale: dico ragione di convenienza, non di necessità né di giustizia. Dio
avrebbe potuto, senza commettere la minima ingiustizia, creare l'uomo nello stato di
natura pura; l'uomo non sarebbe stato defraudato di nulla di ciò che la sua natura
come tale richiede; ma in realtà Dio ha creato l'uomo nello stato di grazia...» (J.
MARITAIN, Saint Thomas d'Aquin et le problème du mal, cit., pp. 225-26).
(15) L'argomento è ripreso da SAN TOMMASO, (op. cit., I-II, q. 114, a. 10, ad. 3 e
4): «Omnia aeque eveniunt bonis et malis quantum ad ipsam substantiam bonorum
vel malorum temporalium, sed non quantum ad finem...».
(16) Le bienheureux Henry Suso, Aubier, Paris 1934, p. 379.

CAPITOLO QUARTO

DIO E IL MALE
Aspetto metafisica del problema
Dopo esserci chiesto, seguendo il consiglio di Plotino: che cosa è il male?,
possiamo ora domandarci: donde viene il male? Il problema della natura
del male permette di affrontare il problema dell'origine del male.

I. - NATURA DEL PROBLEMA
Se Dio non esiste, donde viene il bene? Se Dio esiste, donde viene il male?
Dio, che è all'origine del bene, può essere all'origine del male? Ecco posto
il problema del rapporti fra Dio ed il male. Cerchiamo di precisare il
nostro punto di vista.

I. MISTERO o ASSURDITÀ
Il male esiste, Dio esiste. La loro coesistenza è un mistero. Ma chi vuole
evitare questo mistero va verso l'assurdo: dovrà scegliere fra la negazione
del male e la negazione di Dio (1).
Diciamo qui, come dice altrove Bossuet, che “la verità non distrugge la
verità: e sebbene possa darsi il caso che noi non sappiamo trovare il modo
onde conciliare queste cose, ciò che noi non conosciamo, in una materia
così alta, non deve affatto indebolire in noi ciò che conosciamo con tanta
certezza”. Ricordiamoci che “la prima regola della nostra logica è che non
bisogna mai abbandonare le verità una volta conosciute, qualunque
difficoltà sopraggiunga quando si vuole conciliarle tra loro; ma che
bisogna, al contrario, per così dire, tenere sempre con forza le due
estremità della catena sebbene non si vedano tutti gli anelli intermedi” (2).

Tenere le due estremità della catena, affermare contemporaneamente la
realtà di Dio e la realtà del male, significa impedire all'intelligenza umana
di volgersi verso l'assurdo, sia negando Dio che negando il male; significa
salvarla dal suicidio.

Ma significa, nello stesso tempo, costringerla a superare se stessa, ad
alzare il suo sguardo - al di là della regione delle evidenze e delle idee
chiare - sul mondo superiore del mistero; un mistero che le rimane oscuro
quaggiù come il sole di mezzogiorno è oscuro per il gufo, non per difetto
ma per eccesso di luce.

2. IL PIANO DELLA RELIGIONE ED IL PIANO DELLA
METAFISICA
1) Non è nostra intenzione trattare qui l'aspetto concreto, esistenziale e
propriamente religioso del male, ascoltare il grido dell'uomo toccato dal
dolore, la supplica di un Giobbe o di un Geremia, sopraffatti da prove
troppo grandi e scongiuranti Dio di uscire dal Suo silenzio: “Allora
Giobbe aprì la bocca e maledì il giorno della sua nascita. Incominciò a
parlare e disse: "Perisca il giorno che mi vide nascere e la notte che
annunziò: Un maschio è stato concepito!.. Perché dare la luce ad un
disgraziato, la vita a coloro che hanno l'amarezza nel cuore?... Perché
questo dono all'uomo che non vede più la sua via, e che Dio assedia da
tutte le parti?.. Parlerò nell'angoscia del mio spirito, mi lamenterò
nell'amarezza della mia anima!... Cesserai dunque finalmente di
guardarmi, almeno per il tempo ch'io inghiottisca la mia saliva?.., Perché
mi hai preso come bersaglio? Perché ti sono di peso? "“(Giob., III, I, 20,
23; VII, II, 19, 20). A queste suppliche ardenti c'è una risposta; essa è
contenuta nella stessa domanda che l'anima in pena, ma amorosa, pone al
suo Dio. E' una risposta che si ode nel segreto del cuore: Non sai più che
sono il tuo Dio? Non sono forse più vicino a te di te stesso? Non vedo
forse lo ciò che puoi sopportare? E per ciò che oltrepassa la misura, non
vorrai confidare ancora in Me che, solo, posso beatificarti ?

Ai grandi assalti del male non c'è altra soluzione all'infuori di questo muto
dialogo con il Dio d'Amore. Ma, al disotto del piano della religione e della
fede, sul piano sia della ragione spontanea del senso comune, come sul
piano di una filosofia più elaborata, sorgono gravi problemi di carattere
generale ed impersonale. La coesistenza di Dio, di un Dio onnipotente ed
infinitamente buono, con il male dell'universo, presenta una difficoltà
propriamente metafisica che nessuno può evitare; una difficoltà che non è,
lo abbiamo detto ora, la questione suprema, ma che esige assolutamente di
essere affrontata e risolta; ed è chiaro che se le risposte che le verranno
date saranno erronee, saranno catastrofiche per lo spirito umano.

2) Ciò che scandalizza l'intelligenza, ciò che le sembra inconciliabile con
la santità di Dio, è il male nelle tre forme che abbiamo esposte: il male
fisico, all'opera già nel mondo anteriore all'uomo; e, dopo la venuta
dell'uomo, il male ancora più misterioso dell'ordine morale, male della
colpa, male della pena. Per eliminare lo scandalo, bisognerà incominciare
con lo stabilire che il male non può essere creato da Dio, che esso è
soltanto permesso da Lui, ma in sensi molto diversi, quando si tratta del
male fisico o del male morale sia della colpa che della pena. Si dovrà
dunque, in questa prima tappa, tenere continuamente sotto gli occhi queste
tre forme del male.
Seguirà la seconda tappa: Dio è costretto a permettere il male? Allora non
è onnipotente. Lo permette liberamente?
Allora manca di bontà. E' il dilemma classico, che ha seminato tante
vittime nel corso del secoli.

Si giustificano così le due parti di questo capitolo. Dio permette il male: si
tratta di mancanza di potere o di mancanza di bontà?

II. - DIO PERMETTE IL MALE

I. UN MALE PURO, CAUSA DI TUTTI I MALI, È IMPOSSIBILE
Uno del primi corollari di un'esatta definizione del male, è di mettere in
evidenza l'impossibilità del male puro.
a) La privazione suppone un soggetto.
Non c'è privazione senza un essere privato, senza un essere mancante di
ciò che gli è dovuto. Non c'è male senza bene per sopportarlo. Il male
puro, il male in sé è impossibile.
Ascoltiamo sant'Agostino libero infine dal manicheismo: “Tutte le cose,
quando si corrompono, sono private di un bene. Se esse fossero private di
tutto il bene che è in loro, cesserebbero assolutamente di esistere... La
privazione di ogni bene equivale, infatti, al nulla. Così dunque, in quanto
esistono, le cose sono buone” (3). Si legge nell'Enchiridion: “Nessun male
potrebbe mai esistere là ove non esiste alcun bene” (4). Il Santo dottore
insegna proprio a questo punto a non lasciarsi attrarre nell'insidia del
sofisti, e a distinguere in ogni essere cattivo, ciò per cui è essere, e quindi
buono, e ciò che per cui è cattivo (5).

Nel De civitate Del, è dimostrato che il peccato degli angeli è venuto a
corrompere una natura buona.
Troviamo la medesima dottrina in san Tommaso. Egli ci ammonisce
affinché non diciamo che l'assenza di un bene è un male. In questo caso
bisognerebbe dire che le cose che non esistono sono cattive; oppure che
ogni essere è cattivo per il fatto che non ha ciò che un altro possiede, che
l'uomo è cattivo perché non ha l'agilità della capra o la forza del leone. E'
la privazione d'un bene dovuto ad un soggetto che è un male, la privazione
della vista nei viventi superiori che è cecità. Ne consegue che il soggetto
del male non può essere che un bene (6).

Così il bene nell'universo è più fondamentale del male. Bisogna
incominciare a dire, da questo punto di vista, che il bene è più potente del
male.

b) Il male esiste, dunque Dio esiste.
A coloro che dicono: “il male esiste, dunque Dio non esiste”, si può
ribattere: “il bene esiste, dunque Dio esiste” (7). Ma le due affermazioni
non saranno uguali.
La prova dell'esistenza di Dio non consiste nel dire: Dio esiste perché il
mondo è perfetto, nel fare dell'apologetica come Bernardino da San Pietro,
nel meravigliarsi, per esempio, perché le ciliege e le prugne “sono della
misura della bocca dell'uomo”, le pere e le mele “della misura della sua
mano” e perché i poponi sono divisi in spicchi per essere “mangiati in
famiglia”. E non diremo neppure: Dio esiste perché questo mondo ci
mostra alla fine il male sempre punito ed il bene sempre trionfante.
Sarebbe troppo facile confonderci!

La prova dell'esistenza di Dio consiste nel dire: il mondo, col male che ci
si trova, esiste, dunque Dio esiste. Per quanto miserabile ed imperfetto
esso sia, il mondo esiste, dunque non è il nulla. Per quanto ricco e
meraviglioso esso sia, il mondo è multiplo e mutevole, dunque non è
l'Assoluto dell'essere, l'Essere in sé, che non può essere che uno ed
immutabile. Né nulla né Assoluto, il mondo, effettivamente, in ogni
momento, ha le caratteristiche dell'essere che non esiste per sé, dell'essere
che non porta in se stesso una ragione esplicativa, dell'essere indigente,
dell'essere “contingente” (è l'espressione filosofica); dunque dell'essere
mendico. Il nulla non ha bisogno di spiegazione, di ragion d'essere;
l'Assoluto porta in sé la sua ragione d'essere; il mondo che è fra i due ha
bisogno di una ragion d'essere, di una giustificazione, ma, non
possedendola in sé, non può trovarla che in un Altro, il quale esiste per se
stesso: ciò che esiste, senza esistere per se stesso, esiste attraverso un
Altro, che esiste per Se stesso (8).

Il movimento dell'intelligenza che si eleva fino all'affermazione di Dio,
rimane di conseguenza intatto, per quanto il male del mondo sia grande.
Esso è paragonabile al ragionamento dell'uomo che, vedendo in mezzo
alle tenebre un effetto di luce, deduce l'esistenza del sole. Meglio ancora:
mentre la luce e l'ombra si cacciano via reciprocamente, bisogna ricordarsi
che il male ha sempre bisogno di un soggetto nel quale essere; non ci
sarebbe cecità senza un essere privato della vista; sotto il male si rivela
sempre l'essere contingente. E si potrà dire, senza alcun paradosso di
pensiero, che il male prova l'esistenza di Dio. Non c'è altro che un
paradosso d'espressione, che scomparirà dicendo: il male rivela l'esistenza
di un soggetto contingente, il quale postula l'esistenza dell'Assoluto.

http://www.ministridimisericordia.org/Ilproblemadelmaleedeldolore/tabid/550/Default.aspx

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