DON ANTONIO

mercoledì 14 settembre 2011

Dal "discorso sulla croce" alla "teologia della croce".Fratel Donato Petti - visitatore Provincia Italia f.s.c.

L'evento della Passione di Gesù è considerato da oltre due miliardi di persone come il culmine dell'autorivelazione di Dio, che interpella il pensiero, la cultura e la vita.

Penso che sia importante, per noi lasalliani, riscoprire le chiavi di lettura proprie della Teologia della Croce, per approfondire la spiritualità del de La Salle e il carisma del venerabile Fratel Teodoreto Garberoglio.

Fu particolarmente il teologo Karl Barth, con il Commento alla Lettera ai Romani ( 1919 e 1922 ) a rompere un accordo discutibile con la mentalità illuminista, utilizzando la riscoperta della luterana theologia crucis, facendone il motivo ispiratore di tutta la teologia cristiana1

La theologia crucis protestante fu conosciuta anche in campo cattolico con la crescita degli scambi culturali connessa col movimento ecumenico e, in particolare, per opera di Hans Urs von Balthasar, teologo conterraneo e amico di Karl Barth.2

Ciò che distingue, quindi, la teologia della croce da altre teologie non è l'oggetto di cui si occupa, ma il principio ermeneutico da cui si parte per la conoscenza di Dio.

Infatti, la "teologia della croce" propone un metodo per parlare su Dio all'interno del cristianesimo e, magari anche all'esterno di esso, a partire dall'evento storico della rivelazione di Dio attraverso la morte in croce di Gesù di Nazareth.

La teologia della croce, perciò, intende rispondere a domande decisive:

a) quale immagine di Dio ci svela l'evento della croce di Gesù?

b) come si svela Dio nella croce?

c) cosa ci dice la croce di Dio?

Dunque, l'oggetto della teologia della croce è sempre Dio, come per ogni teologia, ma studiato alla luce di ciò che la Parola di Dio ci dice intorno alla passione e alla morte in croce di Gesù.

Nei manuali che si studiavano almeno fino al Concilio Vaticano II, c'era generalmente un trattato su Dio considerato nella sua unità - De Deo Uno - ed un altro trattato su Dio considerato nella Trinità delle Persone - De Deo Trino.

Successivamente si studiava un trattato intitolato De Verbo Incarnato ( et Redemptore ) e in una parte di questo trattato si studiava il mistero della redenzione mediante il sacrificio della croce.

Nella teologia contemporanea appare acquisito che il mistero della croce non è un capitolo particolare della teologia, ma è la luce nella quale si comprende il Dio della fede, dentro la quale Dio si svela, si manifesta agli uomini.

Si può dire, perciò, che la croce è il criterio ermeneutico della teologia cristiana, intorno al quale si struttura tutta la concezione cristiana di Dio.

Potremmo definire, allora, la teologia della croce un discorso teologico fatto su Dio a partire dal mistero della croce, una ricerca della conoscenza di Dio a partire dall'automanifestazione da lui stesso realizzata in Gesù Crocifisso.

Tale approccio teologico intende partire dall'affermazione di Giovanni secondo cui "nessuno ha mai visto Dio" e perciò di lui nessuno può parlare; "il Figlio unico di Dio, quello che è sempre vicino al Padre ce lo fa conoscere".3

Così pure intende prendere spunto dall'affermazione di Paolo secondo cui Dio è invisibile, cioè inconoscibile, ma Cristo ne è l'immagine adeguata, l'icona vivente.4

Si studia Dio partendo da ciò che la sua Parola ne dice.

Si studia Dio scrutando in profondità la sua icona vivente che è Cristo crocifisso.

Teologia della croce e "teodicea" della croce
Nei primi secoli del cristianesimo, per gli apologeti e per i teologi cristiani fu molto importante conciliare il concetto di Dio che preesisteva nel mondo ellenista con l'annuncio paradossale della morte in croce del Figlio di Dio.

Si può dire, molto sinteticamente, che questo sforzo di inculturazione e di apologetica culminò nella teoria della soddisfazione vicaria ( satisfactio vicaria ), espressa nell'opera Cur Deus homo di S. Anselmo d'Aosta.

Secondo quest'ultimo la gravità dell'offesa si misura in rapporto alla dignità dell'offeso.

Qui l'offeso è Dio Padre, di dignità infinita.

Chi potrà riparare l'offesa se non un altro Dio, un altro infinito?

Dunque, Dio si fa uomo perché, solidale con l'uomo peccatore, possa offrire al Padre la riparazione adeguata dell'offesa.

Usando queste categorie del diritto - dignità, offesa, soddisfazione, riparazione - i teologi cercavano di spiegare la croce a chi faticava ad accettarla.

Ma questo genere di spiegazione, ancorché filosoficamente corretto, offriva la visione di un Dio sdegnato che si chiude nella sua dignità offesa, celando sull'amore infinito di Colui che prende per primo l'iniziativa della redenzione e della salvezza dell'uomo.

Il problema, allora, è quello di vedere quale immagine di Dio e dell'uomo provenga dalla Sacra Scrittura e, più ancora, da quella parola vivente che è il Cristo crocifisso risorto, colui che proclama se stesso il Logos, il Verbo, il Figlio del Dio vivente.

"Piacque a Dio" è scritto nella costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II "nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà",5 mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura.6

Con questa rivelazione, infatti, Dio invisibile7 nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici8 e si intrattiene con essi,9 per invitarli e ammetterli alla comunione con sé.

La profonda verità, poi, su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la "pienezza di tutta la rivelazione". 10

La morte di Gesù è, dunque, una morte epifanica.

Una morte che è supremo atto d'amore, di libertà e di vita.

Dio Padre e la croce
Nella Bibbia, Dio appare anzitutto come Padre e come amore,11 un Padre pieno di pathos, appassionato del suo popolo Israele, del Figlio Gesù e, in Lui, di tutti gli uomini.

Secondo l'evangelista Giovanni, Dio è agàpe, amore.12

Ma non c'è amore più grande di quello che si dimostra attraverso il sacrificio per la persona amata, soprattutto attraverso il sacrificio della vita.13

È chiaro, in questo passo che chi, anzitutto, dimostra questo amore è Dio stesso, mandando il suo Figlio alla morte per noi ed è Gesù che si offre per noi.

"Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito".14

Il dono del Figlio diventa salvezza per noi: "Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo darla per i nostri fratelli".15

La croce, dunque, è l'automanifestazione di Dio.

Quello che noi non avremmo mai potuto capire, né pensare, cioè che Dio è amore, lo registriamo nella croce.

L'evangelista Giovanni, poi, ha una concezione completa dell'amore confrontata con altre categorie piene di significato, quali sono: la vita opposta alla morte e all'omicidio, la luce opposta alle tenebre, la verità opposta alla menzogna, la libertà opposta alla schiavitù.

L'amore è sempre opzione per la vita, servizio alla vita, in opposizione all'odio che è omicidio.16

Come chi odia, il diavolo è omicida fin dall'inizio.17

Quella che era considerata la grande scoperta della filosofia greca sulla natura di Dio, l'apatheia della Divinità, cui consegue l'impossibilità di coinvolgersi in un rapporto d'amore, e che pretendeva liberare una volta per sempre la concezione filosofica di Dio dalle fantasie antropomorfiche della mitologia, è superata dalla "teologia della croce", con il ricupero di Gesù come icona del Padre.

L'applicazione della teologia della croce alla teologia del Padre deve essere considerata particolarmente importante e attuale oggi in relazione al dialogo fra le religioni.

Proprio perché le religioni più vicine al cristianesimo, l'ebraismo e l'islam, fanno riferimento soltanto a quella che per noi è la prima Persona della Trinità.

Soltanto il cristianesimo presenta l'immagine di un Dio che si incarna per amore:

Cristo Gesù,
pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.18

L'abbassamento volontario dalla "divinità" all' "umanità" di Dio, descritta da Paolo ( nel linguaggio teologico "kénosis" ), sta a significare che Gesù di Nazareth, l'Uomo-Dio, che avrebbe potuto presentarsi nella storia con la "gloria" che ha ora nel suo stato definitivo, spogliandosi dei suoi privilegi, invece, si è immerso totalmente nella storia umana.

Si è fatto uomo come gli altri, sottomesso a tutte le alienazioni umane, compresa la morte, e non una morte qualsiasi, ma la più ignominiosa, la morte in croce.

Più tardi, Paolo, rimeditando questo pensiero, oserà dire che questa immersione di Cristo nella vita della storia umana che intendeva redimere, comprendeva persino "in modo misterioso" il peccato: "Dio lo trattò da peccato";19 "mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato".20

Solo dopo questa totale "incarnazione" nell'umanità che intendeva redimere, si realizzò totalmente la "redenzione".

E poiché Cristo, pur innocente, si era macchiato misteriosamente della miseria umana, aveva bisogno personalmente di una redenzione: "Per questo, Dio l'ha esaltato".

La croce, mistero d'amore
Per opera di Cristo che accetta la croce, strumento della propria spoliazione, gli uomini sapranno che Dio è amore.

Amore sconfinato: "Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna".21

Questa verità su Dio si è rivelata mediante la croce.

Il Padre ha scelto la croce per il Figlio suo, e il Figlio l'ha presa sulle spalle, l'ha portata sul monte Calvario e su di essa ha offerto la sua vita.

Cristo attira dalla croce con la potenza dell'amore divino, non si sottrae al dono totale di sé; l'amore sconfinato di Dio colma ogni assenza d'amore e permette all'uomo di trovare rifugio nuovamente tra le braccia del Padre misericordioso.

"Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno".22

All'apice della passione, prima di morire, Cristo non dimentica l'uomo, specialmente non dimentica coloro che sono direttamente causa della sua sofferenza.

Egli sa che l'uomo, più d'ogni altra cosa, ha bisogno d'amore; ha bisogno della misericordia che in questo istante si espande sul mondo.

"In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso".23

Ai piedi della croce stava la Madre, e accanto a lei il discepolo, Giovanni evangelista.

Gesù dice: "Donna, ecco il tuo figlio!", e al discepolo: "Ecco la tua madre!".

"E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa".24

È il testamento per la Chiesa: Gesù morente vuole che l'amore materno di Maria abbracci tutti coloro per i quali egli dà la vita, l'intera umanità.

Poi Gesù aggiunge: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato".25

La frase, nonostante il suo tenore, evidenzia la sua unione profonda con il Padre.

Negli ultimi istanti della sua vita sulla terra, Gesù dirige il suo pensiero al Padre.

Il dialogo si svolgerà ormai soltanto tra il Figlio che muore e il Padre che accetta il suo sacrificio d'amore.

Quando giunge l'ora nona, Gesù grida: "Tutto è compiuto!".26

Ecco, è giunta a compimento l'opera della redenzione.

La missione, per la quale è venuto sulla terra, ha raggiunto il suo scopo.

La salvezza è per tutti.

Il resto appartiene al Padre: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito".27

La croce scandalo e follia
Gesù è arrivato alla gloria della risurrezione, attraverso la passione e la morte in croce.

Da allora Cristo non può essere separato dalla sua croce gloriosa.

Passione, croce, morte e risurrezione di Cristo saranno per sempre punto di riferimento per la salvezza dell'uomo operata da Dio e segno distintivo del suo amore per il mondo.

In questo modo il significato della croce è cambiato; attraverso la morte alla gloria, attraverso l'ignominia alla gloria.

S. Paolo scriveva ai Corinti: "Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani".28

Va da sé che la logica umana rifiuta che la salvezza possa venire da un uomo giustiziato sul patibolo.

I giudei, soprattutto, non potevano ammettere che il loro Messia avrebbe operato l'esaltazione definitiva d'Israele attraverso il fallimento e l'umiliazione della croce.

Perfino i discepoli, che avevano riconosciuto in lui il Messia di Dio e il salvatore dell'uomo, reagirono con orrore davanti alla passione di Gesù: "Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono".29

Però la croce di Cristo non è soltanto uno scandalo, ma anche una follia: i non giudei, i pagani o i gentili, dovevano veramente considerare un'assurdità, un'autentica stoltezza, che la salvezza dell'umanità dipendesse da un uomo morto su un supplizio di schiavi.

Se fosse stato così, lo stesso Dio doveva essere impazzito.

Ebbene, di questa pazzia di Dio parla san Giovanni quando dice: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito".30

Perciò Gesù, "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine", fino a dare la sua vita per loro.31

La Croce nella spiritualità lasalliana
Fratel Teodoreto non fu un teologo e meno ancora un filosofo.

Non vi è dubbio che la sua spiritualità trova il fondamento in quella di S. Giovanni Battista de La Salle, i cui scritti spirituali sono pervasi da una continua meditazione e contemplazione del mistero pasquale della Croce e della Resurrezione di Gesù.

Le riflessioni del La Salle sulla croce mettono in evidenza alcune linee portanti:

a) I nostri peccati sono la causa della sofferenza di Cristo in Croce "Non è possibile, infatti, ignorare che proprio i nostri peccati sono stati la causa delle enormi sofferenze e della morte di Gesù.

Se non smettiamo di peccare vuol dire che vogliamo che Gesù continui a soffrire.

Sappiamo bene che quanti sono i nostri peccati, tanti sono i tormenti che gli procuriamo.

Noi lo crocifiggiamo ancora, dice san Paolo e gli procuriamo un'altra specie di morte che è ancora più dolorosa e più dura della prima".32

b) Gesù sceglie la Croce e la sofferenza come "vangelo" della salvezza

Il Fondatore nella meditazione 39, per la "Vigilia dell'Ascensione", spiega il motivo della morte in Croce di Gesù: la santificazione dei suoi Apostoli e di tutti gli uomini.

Gesù prima di offrirsi al Padre, lo prega di santificare gli Apostoli nella verità, "perché la loro santità non sia soltanto una santità esteriore, ma che purifichi i loro cuori e li santifichi con la sua grazia–perché possano contribuire alla santificazione degli altri".

c) Meditare, adorare e contemplare le piaghe del Signore Gesù

"Siamo invitati ad adorare ed a meditare sulle cinque piaghe di Gesù Cristo nostro Signore–Fissate il vostro sguardo su di esse; contemplate le piaghe del Corpo del vostro Salvatore come fossero bocche che vi rimproverano i vostri peccati e vi ricordano quanto egli ha sofferto per cancellarli".33

"Il frutto che dobbiamo trarre dalla contemplazione delle piaghe del Signore è abbandonare completamente il peccato, mortificare le nostre passioni e contraddire le nostre inclinazioni troppo umane e troppo naturali".34

"La contemplazione delle piaghe del Salvatore può procurarci un altro vantaggio: spronarci ad amare le sofferenze, perché sono la prova tangibile di quanto nostro Signore ha sofferto per noi.

Egli ha conservato nel suo Corpo glorioso le cicatrici delle piaghe come un ornamento e un contrassegno d'amore.

Come Membra di Gesù Cristo, anche voi dovete considerarvi onorati di soffrire come lui e per lui; dovete sull'esempio di san Paolo, non cercare altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo".35

d) Il cristiano è colui che segue Gesù portando la croce ogni giorno

"Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso" rinunci cioè al suo giudizio e alla sua volontà "prenda ogni giorno la sua croce e mi segua.

Esiste qualcuno che non contraddica, non dico con le labbra, ma anche solo col cuore, questa divina affermazione di Gesù nostro Maestro?".36

e) Amare e non sopportare la Croce

L'amore per la croce non si traduce in sentimentalismo fine a se stesso ma deve rappresentare per gli Educatori lasalliani un "dono di Dio" che si esprime in una "testimonianza onorifica".37

"Quali membra di Cristo,38 gli educatori devono unirsi alla croce, fonte di conforto nelle pene e nelle difficoltà della missione".39

f) Nella Croce troviamo il fondamento del ministero educativo

La vocazione educativa dei Lasalliani trova il suo fondamento nella morte in croce di Gesù.

La santità personale dei Fratelli e dei Lasalliani sono il presupposto per essere "salvatori" degli alunni, come Gesù è stato il Salvatore dell'umanità: "Onorate, perciò, il vostro ministero, nella speranza di salvarne alcuni.

Poiché Dio vi ha nominato suoi ministri per riconciliarli con lui e, a questo scopo, vi ha affidato la parola di riconciliazione a loro riguardo

Istruiteli, ma non con discorsi sapienti perché non venga resa vana la Croce di Cristo, che è la sorgente della nostra santificazione, altrimenti tutto ciò che direte non produrrà alcun frutto nel loro cuore e nella loro anima".40

"Il superamento delle pene e delle sofferenze che si incontrano nel ministero educativo sono direttamente proporzionali all'accettazione del sacrificio della croce, e alla conoscenza e all'amore per il Signore crocifisso".41

La nostra fede debole e vacillante si trasformerà in coraggio intrepido per il Signore se "crediamo fermamente e siamo profondamente convinti che Gesù ha sofferto per noi in tutto il suo Corpo, portando la sua croce, bramoso di esservi inchiodato".42

"L'eterno Padre riconoscerà come sua Figlia prediletta solo l'anima che amerà la sofferenza e manifesterà questo amore con la pratica e l'esercizio quotidiano di essa",43 "perché la fedeltà a Dio nei momenti di sofferenza e di difficoltà costituisce il metodo più giusto per raccogliere frutti copiosi nel ministero educativo".44

La spiritualità della Croce, asse portante del carisma di Fratel Teodoreto
La morte redentrice di Cristo nel disegno divino della salvezza; l'offerta di Gesù al Padre per i nostri peccati; la morte di Cristo quale sacrificio unico e definitivo; la nostra partecipazione al sacrificio di Cristo; l'annuncio del vangelo della croce che trasforma il mondo; la conformazione al Cristo crocifisso; Maria ai piedi della Croce, come icona dell'umanità redenta, sono tutti aspetti della spiritualità lasalliana che Fratel Teodoreto ha incarnato nella sua vita di Fratello, di apostolo educatore e di Fondatore dell'Unione di Gesù Crocifisso e di Maria SS. Immacolata.

Fratel Teodoreto con gli scritti e con le opere ha proclamato che la morte in croce di Gesù è la più stupenda opera dell'amore di Dio, collocandosi dal punto di vista della croce come automanifestazione di Dio del Dio agàpe - piuttosto che come riparazione della colpa.

1. Per Fratel Teodoreto, nella croce è la vera sapienza di Dio, l'unica che gli interessa conoscere; e nella debolezza apparente della croce è la vera forza di Dio: "Follia della croce, secondo il mondo; vera e alta saggezza secondo Dio".45

"Possiamo, anzi, dobbiamo, chiedere la sapienza della Croce, che è una felice pratica della verità che permette di vedere nella luce della fede, i misteri più nascosti, tra i quali quello della Croce".46

"Domandiamo incessantemente, e con ardore, a Dio la scienza della Croce, che contiene tutte le scienze, questo tesoro che fa partecipe l'anima dell'amicizia di Dio".47

2. Gesù fu appeso alla croce come un condannato, per liberarci dal peccato.

"Piacque a Dio per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose";48 e per mezzo di questa croce fece sparire la divisione introdotta nel mondo dal peccato, ristabilendo la pace e l'unità tra tutti i popoli, in modo che non formassero che "un solo corpo, per mezzo della croce":49

"La crisi attuale, crisi morale e religiosa, male delle anime, conduce a meglio capire la Redenzione e il mistero della Croce.

È all'origine, al primo peccato che bisogna risalire per trovarne la ragione e la causa prima.

La sofferenza segue il peccato come l'ombra segue il corpo, essa ne è il frutto spontaneo e per così dire necessario".50

L'esperienza mistica di Fratel Teodoreto ci insegna che: "Dobbiamo amare la croce con tutto l'affetto del nostro cuore.

Dobbiamo essere fiduciosi, anzi certi, che se l'amiamo in unione con Gesù che l'ha amata teneramente e che l'ha portata con grandissima gioia, tutte le miserie di questa vita ci diventeranno dolci e piacevoli.

Così saremo davvero felici, perché abbiamo trovato il nostro Paradiso in questo mondo".51

Concludendo, Fratel Teodoreto, con la sua vita di educatore lasalliano e di fondatore dell'Unione Catechisti di Gesù Crocifisso e di Maria Immacolata, è stato interprete originale e creativo della spiritualità lasalliana; precorrendo le intuizioni della "teologia della croce" del Consilio Vaticano II, ha incarnato il significato della sofferenza e della croce con la creazione della "Casa di Carità Arti e Mestieri", superando le categorie del diritto e riguadagnando il carattere profondamente mistico dell'Uomo-Dio crocifisso.

Il mistero della croce è, senza dubbio, uno degli aspetti più difficili da capire nel cristianesimo.

Gesù ha predetto con chiarezza la necessità della sua passione per portare a compimento il piano di salvezza di Dio suo Padre.

E i discepoli, che non lo poterono capire quando Gesù lo annunciava, lo compresero perfettamente a partire dalla risurrezione di Cristo e dalla venuta dello Spirito Santo e si avventurarono per il mondo a predicare la morte e la risurrezione di Gesù e a dare testimonianza, anche con il loro sangue, di tutto ciò che avevano visto e udito.

È quello che ha fatto Fratel Teodoreto.

È il messaggio che egli, a 50 anni dalla morte, rilancia a ciascuno di noi.



http://www.unionecatechisti.it/UnioneC/Italiano/Bollettino/283/art05.htm



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