DON ANTONIO

giovedì 1 settembre 2011

La difficile speranza dei cristiani

Riflessioni di don Paolo Aglietti tratte da Castello7 del 13 gennaio 2008

Tutti auspicano una società diversa, una politica diversa, una convivenza diversa, una chiesa diversa... in una parola, un mondo diverso. Anche se tutto sembra immobile, fermo, legato. Ma noi cristiani non ci scoraggiamo, non vogliamo cedere al "tanto è inutile" perchè essere cristiani vuol dire sperare nel cambiamento, una speranza che nasce dalla fede e permette di intravedere una luce anche nella tenebra e di "cercare davvero in ogni modo quell'immagine bella e buona che Dio ha impresso nella realtà e nell'uomo fin da principio della creazione". Questa è la "difficile speranza dei cristiani".




Paura, rassegnazione e rabbia sono i sentimenti che caratterizzano le vicende umane di questo inizio d'anno in Italia e di cui è rappresentazione emblematica lo straripare di spazzature di tutti i tipi di cui quella di Napoli è solo un'immagine evocativa efficace, anche se non la peggiore.

Di contro è in atto un'offensiva della speranza e dell'ottimismo: dai banchi del governo alle cattedre di vario tipo, comprese quelle ecclesiastiche, tutti predicano che per uscire dallo stallo attuale occorre uno scatto d'orgoglio, una nuova consapevolezza, un nuovo progetto, una novità davvero "nuova", che però non appare all'orizzonte.
In questo modo, paradossalmente, questi annunci rischiano di deprimere ancora di più tutti quelli che non riescono ad intravedere una via d'uscita da questa situazione. Tutti auspicano una società diversa, una politica diversa, una convivenza diversa, una chiesa diversa... in una parola, un mondo diverso.

Anche nella chiesa si avverte da più parti la necessità di una novità capace di dare slancio a progetti e idee che sembrano sempre più lontani dall'esperienza quotidiana, di illuminare di luce nuova una fede capace di essere fondamento della speranza, secondo la definizione dell'apostolo Paolo, fatta propria anche da Dante: la fede come fondamento delle cose che si sperano.

Una speranza capace di vincere le sfide che le vicende, che stiamo vivendo, pongono continuamente ai credenti in Cristo. Una speranza che faccia uscire dal lamento sterile e impaurito, perché privo di proposte, e rivolto solo ad un passato che si vuole migliore del presente, dimenticando però che il presente è figlio del passato.
Una speranza che non sia la ricerca del nuovo per il nuovo, finendo per adeguarsi alla soluzione più facile e all'andazzo corrente: tanto "così fan tutti".
Una speranza solida che non consegni le persone nelle braccia di chi fornisce ricette sicure e non si affidi supinamente ai vari leader carismatici che, in cambio di obbedienza acritica, forniscono facili certificazioni di identità. Già san Paolo nella prima lettera ai Corinzi criticava quelli che si identificavano con questo o quel predicatore (1,11-12).
Una speranza che affronti la responsabilità e il rischio della ricerca, rifuggendo dalla rassicurazione che si ottiene attraverso la visibilità, il farsi vedere, il contarsi, illudendosi di essere nel vero perché "siamo in tanti e sappiamo farci valere".

Da dove cominciare allora un cammino di speranza?

Il Natale del Signore ci propone nuovamente il percorso di Cristo che è percorso di condivisione e partecipazione piena alla realtà dell'uomo, così com'è, assumendo in sé «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono ... realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (GS 1).

Si tratta di un cammino che oggi si presenta faticoso e difficile perché ostacolato dalla mentalità di rassegnazione, di cui parlavamo sopra, e che induce a contarsi per sentirsi forti o a disperare perché ci sente troppo deboli ed inadeguati al compito che il Cristo ha affidato ai suoi.

Il percorso del discepolo di Cristo nella società non può essere altro che quello della condivisione della fatica dei tanti che, nel silenzio, portano avanti la pesantezza del vivere e del morire, il farsi carico della pena e del peccato di una società sempre più volgare e brutta in tutte le sue forme ed espressioni, perché basata sulla forza del potere e del denaro.
Una società a cui offrire non condanne sterili, ma speranza e salvezza, una società da cui nessuno si può dichiarare estraneo perché di essa ognuno di noi fa parte e ne porta la responsabilità.
La speranza del discepolo di Cristo si basa così sulla forza di Dio che è l'amore che si dona e che non ha nemici, perché di nessuno accetta l'inimicizia, nella consapevolezza di potersi sentire, come il Cristo, fratello di ogni uomo in tutto, anche nel peccato, come insegna la scelta di Gesù di farsi battezzare da un recalcitrante Giovanni Battista, come ci racconta il brano del vangelo della messa di oggi.

Il cristiano spera perché basa la sua speranza sulla fede che permette di intravedere anche nella tenebra, che apre il cammino anche nella nebbia. Diceva papa Giovani XXIII: «Io mi accontento, come Abramo, di avanzare nella notte, un passo dopo l'altro alla luce delle stelle». Era la scelta dell'accompagnare la vita nel suo svolgersi nel cercare davvero in ogni modo quell'immagine bella e buona che Dio ha impresso nella realtà e nell'uomo fin da principio della creazione.
http://www.gionata.org/biblioteca/tracce/la-difficile-speranza-dei-cristiani.html

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