DON ANTONIO

lunedì 19 dicembre 2011

UN "VANGELO"PER IL TERZO MILLENNIO. Ciò che i cristiani credono e vivono alle soglie del nuovo Millennio

CHI E' L'UOMO?

Un Dio così non poteva non inventare grandi cose per l'uomo. Solo conoscendo ciò che Dio ha pensato e fatto per l'uomo, si può scoprire la nostra più profonda identità e l'autentico nostro destino. Tutte le altre perlustrazioni attorno all'uomo sono superficiali e parziali, e perciò non vere. Ed è da questa distorta immagine di uomo che nascono enigmi, paure, pessimismi sulla condizione dell'uomo, l'incomprensione della sua vicenda, e alla fine l'assurdità del suo destino di morte. Solo il mistero di Dio, del Dio fatto uomo - del Verbo incarnato - illumina pienamente il mistero dell'uomo e lo risolve.

Ecco allora in sintesi quali sono le risposte della fede cristiana alle domande fondamentali della vita.

Donde vengo?
Qual è la mia identità più vera?

E' troppo necessario sapere davvero chi siamo. Più di una volta abbiamo rincorso desideri di felicità, che poi ci hanno delusi: il nostro cuore aveva esigenze diverse. Era fatto diverso.

Noi siamo il risultato di un gesto di Dio che ci ha pensati e voluti dall'eternità, "predestinandoci ad essere conformi all'immagine del Figlio suo". Proprio così è capitato. Dio aveva un Figlio Unigenito, col quale c'era piena intesa. Decise un giorno di allargare famiglia e di creare l'uomo come prolungamento del suo proprio Figlio, divenendo Costui da Unigenito primogenito di molti fratelli. Ogni uomo è così creato, "stampato", a immagine del Figlio di Dio, impastato di umano e di divino, voluto e amato da Dio come è amato il Figlio Unigenito; chiamati quindi, ognuno di noi, ad essere figli ed eredi di Dio. Questa è la specifica identità dell'uomo: appena Dio lo pensa, lo vuole subito come suo figlio proprio, destinato a far parte intima della vita Trinitaria.
Se siamo figli propri di Dio, contiamo moltissimo per Lui. Nessuno ci vuol bene quanto Dio, ed è Lui il più appassionato educatore della nostra vita. Ci ha creati liberi perché rispondessimo con libertà e amore a quella sua chiamata di divenirne eredi. Nessuno al mondo quindi quanto Dio rispetta la nostra libertà e sollecita il nostro bene. Lui vede e vuole il mio bene più di quello che io non veda e voglia di me. Non ho che da fidarmi pienamente di Lui, e realizzerò così di me un progetto ben più grande d'ogni mio stesso sogno.

Dove vado?
Qual è il mio destino?

E' domanda troppo importante quella sul nostro futuro. La paura viene da questo futuro ignoto. E invece luminosissimo è il domani del credente. Se Dio ci ha fatti suoi figli è perché ci chiama a divenirne eredi, cioè in un modo pieno partecipi della sua vita perenne in Casa Trinità. Là c'è posto per tutti. Gesù, il nostro fratello maggiore, è andato avanti a prepararcelo. Parlandone un giorno disse: "Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli: in verità vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli" (Lc 12,37). Fantastico, vero! Essere a cena da Dio e Lui nostro inserviente, tanto è contento di averci sempre con Sé!
E perché la nostra esistenza futura sia una vita piena, ci sarà prima "la risurrezione della carne", come professiamo nel Credo, cioè la risurrezione del nostro corpo perché nella vita eterna tutto di noi partecipi alla nuova qualità d'esistenza propria di Dio. Saremo "simili a Lui", eredi di Dio, niente di meno che felici ed eterni come Lui. Chiacchiere e fantasie sono tutti i discorsi sulla reincarnazione...!

La certezza di queste verità ci dà respiro e serenità nel guardare al nostro domani, e ci rende portatori di un messaggio del tutto positivo in mezzo ad un mondo dove tutto sembra avviato all'annientamento.

Qual è la formula magica per la riuscita della vita?

Non c'è formula magica, ma formula sicura di riuscita, ed è quella che Dio stesso è venuto a mostrare - non in un libro, ma in una vicenda umana concreta - quella vissuta dal Figlio di Dio incarnato, l'uomo Gesù di Nazaret.

La sua analisi dei mali dell'uomo è semplicissima e fondamentale: l'uomo ha perso la vita, s'è guadagnato la morte, e con essa sofferenza, egoismo, violenza, semplicemente perché ha rifiutato Dio, pensando di fare da sé. Gesù è colui che fa esattamente il contrario: per tutta la vita si fida di Dio, e il Dio della vita non lo delude: gli restituisce come regalo non solo la vita di prima, ma lo fa "sedere alla sua destra", cioè lo rende partecipe della stessa vita Trinitaria. Un uomo ha già raggiunto quel traguardo dopo aver percorso tutto lo stesso nostro cammino di uomini, ma con la formula giusta che lo ha portato a riuscita, quella della obbedienza a Dio.
Gesù rappresenta quindi il nostro modello di vita. Guardando a Lui noi conosciamo la verità di noi stessi e i passi giusti che dobbiamo fare. Le sue scelte, i suoi insegnamenti ed esempi sono la fotografia dell'ideale di uomo che dobbiamo essere noi. Questo voleva dire Gesù quando diceva: Vieni e seguimi! Tutto è scritto per noi nel vangelo: la Parola di Dio è quindi la vera e unica indicazione giusta, in mezzo alle chiacchiere degli uomini e i falsi modelli di successo umano, e ci è di riferimento sicuro per ciò che è bene e male, utile o non utile alla nostra vera riuscita finale.

Ma sapendo la nostra insufficienza e fragilità, Gesù ha voluto essere per noi un fratello che ha fatto un po' la nostra parte nel riconciliarci con Dio: sono i suoi gesti fondamentali compiuti sulla croce in quanto nostro rappresentante e capo; per le sue piaghe noi siamo stati guariti, il castigo che noi meritavamo per il peccato, lui l'ha condiviso fino alla morte e ha espiato per noi, meritandoci così il perdono di Dio. Il suo sì a Dio Padre è quello che oggi ci dà la capacità di dire anche noi il nostro sì di fede e fedeltà al Signore. Gesù ha come voluto precederci, per darci una mano. La sua presenza e la sua forza oggi è incanalata a noi attraverso il dono dello Spirito santo e i sacramenti.
E' lo Spirito santo appunto la forza divina che ci cambia e ci trasforma interiormente. Col Battesimo ci "incorpora" a Cristo, come parte di Lui, facendoci realmente figli di Dio. Aiuta poi la nostra intelligenza a vedere e giudicare le cose come le vede e giudica Dio: ed è il dono della Fede. Ci aiuta a guardare, desiderare e scegliere i beni più veri e più giusti in vista della nostra felicità: ed è il dono della Speranza, che ci fa vedere in Dio il nostro bene supremo e unico, assieme alla certezza del perdono. Ci carica il cuore della capacità di amare che ha il cuore di Cristo, ed è il dono della Carità, del perdono, della gratuità nell'amare come Dio ha amato gratuitamente noi. Lo Spirito santo inabita in noi, trasfigura la nostra vita conformandola a quella del Fratello maggiore Gesù; e alla fine un giorno "darà vita anche ai nostri corpi mortali a causa del suo Spirito che abita in noi" (Rm 8,11), cioè ci risusciterà come Cristo. E' quindi pegno e strumento di resurrezione della carne e della vita eterna.

E' lo stesso Spirito che ci fa vivere non da soli, ma nella grande famiglia di Dio che è la Chiesa. A ciascuno ha dato doni diversi perché li mettiamo assieme per l'utilità comune di tutti. Doni diversi, compiti diversi ma - come membra di un unico corpo - per l'arricchimento di tutti. Vivere nella Chiesa - cioè in concreto nella propria Chiesa Locale, la propria parrocchia -, è l'unica forma legittima e fruttuosa di crescere da figli di Dio, per fiorire là dove il Signore ci ha piantato, collaborando con quei fratelli, non scelti da noi, ma destinatici da Dio.
La Chiesa ha infine la missione di annunciare a tutti i doni di Dio e l'unica vocazione alla vita che è la santità. Ognuno riceve in dono la fede non per un privilegio, ma per una responsabilità; non siamo cristiani noi prima degli altri perché siamo più belli, ma perché attraverso noi il dono di Dio giunga a tutti, come del resto noi stessi l'abbiamo ricevuto gratuitamente da altri. La missione è dimensione essenziale del battesimo. Missione all'interno della propria Chiesa, che si chiama pastorale; missione all'esterno, che si chiama testimonianza e servizio evangelico al mondo. Non è cristiano vero chi si chiude in se stesso.

Il guado difficile della sofferenza

Ma la vita del cristiano, come quella di ogni uomo, è segnata dalla prova, dalla sofferenza, dall'ingiustizia, dalla violenza, anche degli innocenti. E questo pone problema. Questa è domanda angosciosa soprattutto per chi crede a un Dio buono e provvidente. E' necessario allora raccogliere dalla fede cristiana le risposte illuminanti anche su questo punto di confine, là dove cioè la ragione umana naufraga nell'assurdo e nella ribellione.

La prima risposta chiara nella Bibbia è l'origine del male. Non è da Dio, ma dall'uomo, dall'uomo che vuol fare da sé e rifiuta Dio. "Per il peccato la morte è entrata nel mondo". E con la morte il patrimonio negativo di egoismo, fatica, sofferenza, violenza ..., il male, in una parola! Questo male è diventato eredità di tutti, condizione difficile dell'uomo, come capita tra vasi comunicanti, partecipi cioè del male come del bene di tutti. E il male cresce attraverso il suo organizzarsi fino a condizionarci, a creare così male su male.

Ma anche dentro di noi ereditiamo come una ferita, una debolezza e una insufficienza che ci rende propensi a dire di no a Dio e quindi a ratificare il peccato di tutta l'umanità; ad aggiungere così anche noi male al male comune. E' l'analisi spietata che San Paolo fa della nostra condizione di uomini: vogliamo il bene e non riusciamo a farlo; detestiamo il male e ci troviamo ad averlo scelto più spesso di quanto volevamo. "Io ho sì il desiderio del bene, ma non ho la forza di attuarlo" (Rm 7,17).

A questa triste condizione umana Dio ha posto rimedio con l'opera di salvezza di Cristo: con lui siamo riconciliati con Dio, viene perdonato il peccato ed è ridata energia sufficiente ad ogni uomo per realizzare il bene che vuole e resistere al male che non vuole. E' quello che chiamiamo GRAZIA. Data a tutti gli uomini per dono gratuito di Dio, essa però diviene efficace solo in un cuore che sinceramente si apre ad accoglierla e a collaborarvi. I ritmi lenti e pigri poi della nostra libertà, segnano necessariamente il passo di questa conversione e trasformazione della nostra vita.

Ma tolto il male morale, rimane ancora tutto il male fisico, le prove dolorose che dobbiamo subire dagli altri o dalle circostanze della vita. Qui la fede cristiana ha risposte difficili ma luminose. Per capirci qualcosa bisogna guardare la croce di Cristo. Essa è stata essenzialmente un abbandono d'amore, cioè un atto di fiducia totale a Dio Padre pur in mezzo al rischio e all'assurdo. Si è fidato di Dio anche quando sembrava che tutto andasse verso l'annientamento. Anche quando si è sentito abbandonato da Lui. La sua sofferenza - fino alla morte - il suo sentirsi schiacciato e abbandonato, non l'ha distolto da Dio, ma è stata occasione più forte per gettarsi nelle sue braccia e dire: "Mio Dio, perché mi hai abbandonato?... pure mi fido lo stesso pienamente di Te!".
Tale è anche il senso e il perché ci è lasciata dopo la Redenzione la sofferenza: perché divenga anche per noi materia per esprimere non a parole ma a fatti concreti il nostro amore verso Dio, e un amore puro, provato, totale. L'amore si prova, come l'oro, col fuoco. E Dio vuole "spremere" da noi un tale amore radicale e puro, come del resto ha fatto Lui sulla croce per noi. La sofferenza e la morte allora vanno vissute come atto di abbandono a Dio, come il nostro sì difficile al Dio che crediamo con eroismo ancora come il nostro unico bene.

Ma tutto questo non è facile, anzi non è alla nostra portata. Ecco allora l'invenzione di Cristo: quel suo atto supremo della croce lo ha reso contemporaneo ad ogni uomo, nella Messa, perché ognuno di noi, partecipandovi, ne riporti il frutto di salvezza, cioè sia caricato della stessa capacità di Cristo di dire di sì a Dio e così compiere il proprio atto di riscatto. Nella Messa - all'offertorio - la Chiesa ci fa mettere alcune gocce d'acqua nel vino che diventerà il sangue di Cristo: sono il simbolo della offerta a Dio delle nostre croci, delle nostre sofferenze, vissute anche da noi con spirito d'abbandono e obbedienza a Dio, perché unite al sangue di Cristo divengano capaci di redenzione. E' quello che chiamiamo "corredenzione", cioè partecipazione alla redenzione di Cristo per la salvezza nostra e del mondo intero.
E' questo uno dei punti più alti della fede, che sa valorizzare al meglio, al positivo, persino quello che ad occhio umano rappresenta lo scarto. E affrontare la malattia o la morte con l'animo di saperne trarre un vantaggio di bene per noi e per gli altri, significa affrontarle con l'animo dell'eroe che accetta volentieri un sacrificio perché lo sa fecondo e fruttuoso.

E alla fine - nonostante questi punti chiari della fede - ci saranno ancora misteri e paure di fronte al dolore. Ci saranno momenti - quando la pelle brucia o una disgrazia imprevista cambia la nostra esistenza - in cui ci sembrerà impossibile credere ancora alla bontà di Dio per noi. E' il momento più alto della prova, quella svolta decisiva che il Signore ha preparato per noi, per l'ultimo salto di abbandono pieno in Lui. Lì, come Giobbe, non abbiamo altro da dire che: "Signore, non capisco, ma mi fido!". Mi fido e credo che tu vuoi comunque il mio bene, anche se per me sembra tutto assurdo. Signore, tienimi per mano, guidami in questo momento così buio, come l'hai vissuto tu al Getsemani, e fa che anch'io possa dire: Padre - Abbà, papà - non la mia ma la tua volontà sia fatta. Nelle tue mani metto tutto me stesso!



Ecco: l'amore di Dio - fino all'eccedenza della croce; l'amore nostro verso Dio fino all'eroismo dell'abbandono. La vita cristiana è una cosa seria, non è un gioco. Dio lo sa, per questo il nostro è un Dio che è venuto via da casa sua per venirci incontro e camminare al nostro fianco, senza scavalcare la nostra libertà e responsabilità, ma con la premura discreta di guidarci e aiutarci.
La Bibbia ha una immagine lirica per esprimere l'atteggiamento giusto da avere con questo Dio, è il Salmo 130: "Come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, è l'anima mia". Sentiamoci sereni e fiduciosi nelle braccia di Dio, come un bambino è abbandonato sereno nelle braccia di sua madre.

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