DON ANTONIO

venerdì 20 gennaio 2012

Perchè il dolore? (Carlo Miglietta) Gesù, la risposta definitiva di Dio.Dal Monastero di Bose

Torino, 24 novembre 2011 C. Peschiera Dott. Carlo Miglietta (2° incontro) 1
Centro Culturale Cattolico
Chicercatrova
Torino, 24 novembre 2011
C. Peschiera
Secondo incontro sul problema del male
Relatore Dott. Carlo Miglietta
Buonasera a tutti,
facciamo un sunto della puntata precedente, visto che qualche faccia nuova stasera ha perso la
prima parte. Abbiamo cominciato la volta scorsa interrogandoci con la domanda più terribile della
nostra vita:
“Perché esiste il dolore, perché c’è il male? Perché Dio lo permette? Perché Dio non lo elimina se ci
vuole bene?
Perché Auschwitz, perché Hiroshima? Perché le stragi degli indigeni in Amazzonia da parte dei
bianchi che vogliono impossessarsi delle loro terre? Perché gli stupri etnici tra gli Yanomàmi da
parte dell’esercito, o nel Kosovo?
Perché queste tragedie e perché Dio non ascolta le nostre preghiere, se è buono? Perché Dio non ci
guarisce, se è buono?”
Abbiamo visto che a queste domande terribili gli uomini hanno cercato di darsi varie risposte
nell’ambito dei secoli. La prima risposta è stata quella che abbiamo chiamato la soluzione
dualistica. Cioè che Dio sia l’origine del bene ma anche l’origine del male. Che è poi la risposta
che ci sentiamo dare dai nostri amici vicini quando hanno una malattia, una sofferenza: «Perché
Dio mi manda questo!». Vedete, se Dio mi manda questo, allora è meglio fare a meno di questo
Dio, e cercare la salvezza non in Lui ma nei nostri sforzi, nei nostri mezzi.
Altra risposta era quella del cosiddetto pessimismo metafisico, cioè la vita non ha un senso, è
inutile cercare di darsi una risposta a questi temi, non la troveremo mai! E allora è inutile che io lotti
per una ricerca di risposte, di senso, che mai avrà successo. Tanto vale che mi faccia i fatti miei, che
mi cerchi i miei paradisi artificiali nella musica, nella droga, nell’alcool, negli psicofarmaci.
Abbiamo visto l’ottimismo metafisico, quelli che dicono: «Ma no, ma il male in sé non esiste,
siamo noi che diciamo male certe cose! Mentre invece, magari agli occhi di Dio, anche un bel
cancro è un bene per me». Io credo che questa posizione pur presente anche nella Teologia
cattolica, sia una posizione molto pericolosa; perché io credo che un cancro sia un cancro, che una
tragedia sia una tragedia, che uno tsunami sia uno tsunami, che un terremoto sia un terremoto, e
faccio difficoltà come tanti a credere che invece possano essere un bene per me.
Abbiamo visto la posizione dell’evoluzionismo, cioè di quelli che dicono (pensate ai marxisti) che
con il progresso dell’umanità si sarebbe giunti ad una società perfetta che avrebbe abolito tutti i
mali.
Oppure pensate al positivismo che è così imperante ai nostri giorni, che dice che la scienza con le
sue continue scoperte, con il suo continuo avanzare risolverà tutte le malattie, risolverà anche il
problema della morte. E allora ecco magari se sei malato, dicevamo la volta scorsa, ti fai ibernare,
metti poi il timer del frigorifero nel 10427, quando sicuramente avranno trovato la soluzione alla tua
malattia e al tuo morire.
L’esistenzialismo ateo invece, nasce dalla sfiducia anch’esso, verso la metafisica tradizionale, e
dice che se mi accorgo che non riesco a dare un senso alla mia vita, allora invece di pensare al
perché dell’essere, mi accontento dell’esserci. E quando rifletto sul mio esserci, scopro come
Heidegger, che sono per la morte, che vivo per la morte, che dal momento in cui nasco viaggio
verso la morte. E come dice Kierkegaard nasce allora l’angoscia, come dice Sartre: «Nasce “la
nausea” di fronte a una situazione del genere». E Camus concludeva in maniera tragica: «C’è un
solo problema veramente importante per la filosofia: il suicidio». Decidere, cioè, se valga la pena
di vivere oppure no.
Ecco, di fronte a queste difficoltà di risolvere il perché del male, vedevamo la volta scorsa che la
maggioranza delle persone preferisce non pensarci, preferisce rimuovere il problema.
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Assistiamo davvero oggi a una carenza di pensiero, questa carenza di pensiero che tanto accusa il
nostro Papa Benedetto XVI. Ormai alla ricerca della salvezza che aveva impegnato i pensieri delle
nostre generazioni quando eravamo giovani, si è sostituita la ricerca della salute, le Chiese si
svuotano, i confessionali sono deserti, ma aumentano le cliniche del relax, aumentano i
beautycenter, aumentano gli introiti della chirurgia plastica.
Il modello che ci è presentato nelle telenovelas, negli spot, è sempre di gente assolutamente bella,
sana robusta, che sta sempre bene, che trova sempre un prodotto, un prodotto che, se acquistato, ti
risolve il problema! E allora ecco che il dolore viene rimosso, nessuno è più accanto (si diceva
prima) al morente nel momento tragico del passaggio verso la nostra morte.
I bambini non devono vedere la morte del nonno; magari però i bambini vedono in televisione
all’età di nove anni, già 10 mila - 11 mila morti. Ma sono tutte morti fittizie, morti fiction, morti
mediatiche: le morti dei film, le morti dei cartoni animati, le morti nei telegiornali; ma sono cose
sempre di altri, un dolore sempre spettacolo, un dolore godibile. Io lo vedo, lo guardo, poi cambio
canale e mi faccio i fatti miei. E quando giungo così al momento della mia morte mi trovo
assolutamente impreparato, mi trovo assolutamente scoperto, mi trovo con un carico di angoscia
tremendo. E questo anche quando mi trovo di fronte alla malattia che porta in sé sempre questi
segni di negatività e magari anche di morte.
Abbiamo visto che di fronte all’insuccesso delle risposte tradizionali filosofiche, la Bibbia è il Libro
che ci dà la grande risposta al tema del male anche se (dobbiamo saperlo) c’è una progressione di
risposte tra l’Antico e il Nuovo Testamento. La risposta, vedremo, è una sola ma sicuramente
presenta varie sfaccettature che soltanto in Cristo, pienezza della Rivelazione, troveranno il loro
compimento.
Allora, aprendo la Genesi abbiamo visto che la Bibbia ha subito una grande preoccupazione di dirci
che: «Non è Dio la causa del male», e attraverso questo racconto così complesso anche, che è quello
del cosiddetto peccato originale, ci vien data una grande rivelazione.
Ci viene detto che ogni nostra azione, sia nel bene che nel male, ha misteriosamente un riverbero o
negativo o positivo. Ogni nostra azione ha una ridondanza di effetti per cui anche se io compio nel
segreto della mia stanza un peccato, questo, in maniera misteriosa, finisce per ritorcersi
negativamente contro tutta l’umanità, contro tutto il creato, contro il mondo intero. La stessa cosa la
fa anche il bene, eh! Ogni goccia di bene che io pongo nel mare della vita, misteriosamente migliora
la condizione di tutti i miei fratelli, migliora la condizione del mondo intero, migliora la condizione
di tutto quanto l’universo.
Questa rivelazione, dicevamo, è una rivelazione che accettiamo molto bene. Cioè, tutti noi
sappiamo dall’apertura di un giornale quotidiano o del telegiornale (ce lo fan vedere tutti i
momenti!) come tante malattie siano frutto del peccato dell’uomo, tutti noi sappiamo il rapporto che
c’è tra l’inquinamento e i tumori; tutti noi sappiamo il rapporto che esiste tra una cattiva
alimentazione e le malattie cardiovascolari. Tutti noi sappiamo che tante tragedie anche naturali:
tsunami, terremoti, eccetera, fanno migliaia di vittime perché l’uomo è stato dissennato nel
costruire, perché è stato avido nel cercare di guadagnare senza mettere in sicurezza l’ambiente.
Sono cose che continuamente noi vediamo!
Nello stesso tempo la Parola di Dio qui ci spiega buona parte del dolore come frutto dei nostri
sbagli, dei nostri peccati, ma ci lascia anche degli interrogativi aperti: la sofferenza del giusto, la
sofferenza dell’innocente a chi sarà da ascrivere? Non sempre si riesce a cogliere un nesso tra le
sofferenze che abbiamo e il peccato anche di altri. E a volte viene da chiedersi se non sia un sistema
ingiusto quello in cui io mi trovo a soffrire per colpa del peccato di altri.
E allora avevamo messo anche in crisi quella tradizionale Teologia che andava di moda forse fino a
una cinquantina di anni fa, per cui dopo questo peccato dell’uomo, Dio si arrabbiava in una maniera
tremenda con quest’uomo, non accettava nessuna forma di riconciliazione con lui, si placava alla
fine soltanto attraverso un parricidio! Cioè questo Padre massacrava Suo Figlio in croce, e allora
alla fine era contento perché aveva riconciliato l’umanità con Dio stesso. Questa visione di Dio così
sacrificale “Dio giudice giusto, pronto a chiedere conto fino all’ultimo centesimo dei nostri debiti”,
contrasta in maniera forte con l’idea che abbiamo del Dio Padre, del Dio Papà, del Dio Amore quale
ci viene presentata nel Nuovo Testamento.
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L’altra risposta che dà la Bibbia, abbiamo visto la volta scorsa, è quella cosiddetta Teologia della
retribuzione. Cioè se io sono buono, se io sto dalla parte di Dio che è fonte della vita, avrò
benessere, avrò pace, avrò sicurezza, avrò salute. Se io mi allontano da Dio che è la fonte della vita
e della felicità, vado verso la morte, verso l’autodistruzione, verso la sofferenza. Questa è una
Teologia che spesso funziona, ma voi sapete che spesso non funziona, perché tutti noi spesso
vediamo che gli empi prosperano mentre invece i giusti talora soffrono, e soffrono tanto!
Allora ecco che nasce questa Teologia della retribuzione, che dice: «Ah, ma alla fine Dio mette le
cose a posto». Qualche volta è una retribuzione immediata, dicono gli Ebrei, cioè: «Se tu sei
buono Dio ti premia già qui, se sei cattivo prima o poi il castigo ti arriva giù qui». Qualche volta si
dice che questa retribuzione è una retribuzione collettiva, compare anche nella Bibbia “il Signore
che o perdona o castiga le colpe dei padri, oppure premia gli atti positivi dei padri nei figli, fino
alla terza, quarta, millesima generazione”, eccetera.
Qualche volta è una retribuzione cosiddetta terrena finale. Nella Bibbia abbiamo molti testi che
dicono: «Sì, l’empio prospera ma prima della fine dei suoi giorni la pagherà. Invece l’innocente
soffre, ma prima della fine dei suoi giorni sarà redento». Anche questa è una cosa che non
funziona. Come dice Totò nella famosa “ A’ livella”: «Sì, è vero che la morte ci rende tutti pari, ci
livella tutti quanti, ma un conto se io ho gozzovigliato e sono stato bene tutta la vita, un conto
invece è se ho tirato avanti coi denti una esistenza di stenti, di povertà, di sofferenza, di dolore». E
allora nasce l’idea di una retribuzione escatologica. Cioè, ecco qui su questa terra non c’è il
guiderdone delle nostre azioni, ma Dio è giusto, quindi ci sarà un aldilà dove in ogni caso, il buono
riceverà il suo premio e il cattivo riceverà la sua punizione.
Altre volte la Bibbia non sta neanche a pensare al perché del dolore, alla sua origine, ma si interroga
sul suo scopo. E allora scopre che il dolore può essere un momento di pedagogia divina, cioè
l’esperienza d’Israele dell’Esodo, del deserto, l’esperienza della prova nei Patriarchi, fanno capire
ad Israele che tante volte Dio usa il dolore, perché “privato dei miei beni, della salute, delle
ricchezze, delle persone care, io possa volgere lo sguardo a Lui che è il solo bene”.
Quindi il dolore può diventare momento di maturazione, può diventare momento di
approfondimento, può diventare momento di incontro con Dio, può diventare anche momento di
incontro con i fratelli perché rende il mio cuore più morbido; toglie il mio cuore di pietra e mi dà un
cuore di carne capace di vibrare per le sofferenze dei fratelli.
Ma infine avevamo concluso con una lettura che è quella dei Padri greci, che ci sembra più consona
all’insieme di tutta la Rivelazione Antico e Neotestamentale.
I Padri della Chiesa cosa dicono? Dicono questo: «Dio crea l’uomo per amore, ma essendo Dio
(secondo la mentalità greca), infinito, illimitato ed eterno, per creare uno che fosse a Lui partner
nell’amore, deve creare uno che sia “altro” da Lui. Quindi l’Infinito deve creare il finito, l’Illimitato
deve creare il limitato, l’Eterno deve creare il mortale.
Dio fa questo perché il massimo valore per Dio è che possa avere una persona con cui relazionarsi
nell’amore. Allora scopo della vita dell’uomo non è star bene, aver due gambe, vederci bene, esser
pieno di salute, arrivare a cento anni; scopo della vita dell’uomo è essere in relazione con un Dio
che ci ama alla follia. Essere in relazione con un Dio che ti dice: «Ti amo» e potere rispondere: «Ti
amo» a questo Dio che vuole che noi siamo, secondo la dizione biblica, i Suoi amanti, i Suoi
fidanzati, la Sua sposa.
Ecco, questa visione è una visione molto forte, molto grande, che vede nell’alterità da Dio il dono
più grande che poteva farci. Perché questa alterità da Dio, anche se è una alterità di creaturalità, di
finitudine, è l’unica che mi permette di essere persona di fronte a Colui che è Persona per
eccellenza: «Io sono Colui che E’»; di essere me stesso di fronte a Dio, di potermi relazionare con
Lui, di poterne diventare davvero l’amante e lo sposo.
Ma Dio soffre nel vedere il suo amato nella finitudine, nel limite creaturale, nella mortalità, e allora
nel momento stesso in cui Dio pensa l’Incarnazione, la pensa nel Cristo, per Cristo e con Cristo.
Come noi leggiamo nel prologo di Giovanni: «In principio era il Verbo, tutto è stato creato per
mezzo di Lui e in vista di Lui».
Cioè l’Incarnazione non è dovuta al peccato dell’uomo, quasi che se non ci fosse stato il peccato
dell’uomo non ci sarebbe stato il Figlio, Dio non si sarebbe Incarnato, ma l’Incarnazione completa
il progetto creazionale di Dio. L’Incarnazione è prevista da sempre “fin dalla fondazione dei secoli”
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ci dice Paolo, come momento nel quale il Dio infinito si farà finito, il Dio illimitato si farà limitato,
il Dio Eterno sperimenterà la morte per prendere la nostra creaturalità, la nostra sofferenza, la nostra
angoscia, le nostre paure e portarle nell’eternità del Suo Regno.
Allora, e avevamo concluso così, la Genesi non ci dice tanto come eravamo, la Genesi ci dice come
saremo, perché il Paradiso terrestre in cui abbiamo una vita immortale, in cui vediamo Dio, in cui
passeggiamo con Lui nella brezza della sera, si realizza solo in Cristo. È Cristo il nostro Paradiso
terrestre.
Come dicevano i Padri con una frase molto bella, molto ricca: «Dio fece Adamo e lo pose in
Paradiso, cioè lo pose in Cristo, perché è Cristo il luogo della nostra felicità, è Cristo il luogo della
nostra comunione col Padre, è Cristo il luogo della nostra vita eterna». E questo era annunciato da
quel grande Libro dell’Antico Testamento, che parla proprio di questo, il Libro di Giobbe.
Ed è Giobbe che, dicevamo la volta scorsa, rappresenta davvero la sintesi della risposta divina
nell’Antico Testamento al tema del dolore, perché Giobbe è il prototipo di ogni sofferente, è il
prototipo dei sofferenti di ogni tempo, che non accetta la teologia della retribuzione cioè “il male
mi deriva perché ho peccato”.
Giobbe professa la sua innocenza, Giobbe alza i suoi pugni contro Dio! Giobbe accusa Dio di essere
ingiusto con gli uomini e lo chiama a renderne conto! E questo Dio sorride di fronte a questa
minuscola pulce che lo ha chiamato in giudizio e gli risponde. E noi vediamo la conclusione del
Libro di Giobbe in cui Dio in una grande teofania, cioè manifestazione della parola, scende dai Suoi
cieli e si pone lì accanto a Giobbe, e gli spiega il suo amore nel creato.
Gli dice: «Guarda che io amo questo creato, io penso al parto dei camosci, al parto dei corvi, io
penso al parto della leonessa, io provvedo il cibo agli uccellini, io sono Colui che regola le stelle. E
se io amo tutte le cose che ho create, quanto più amo te che sei il mio partner nell’amore!», Giobbe
a questo punto dice: «Signore, finalmente io ti ho capito!».
Guardate bene, il Dio di Giobbe non è un Dio che viene a guarirlo! Concludevamo dicendo che
l’happy end, il lieto fine del Libro di Giobbe è un’aggiunta posteriore, non faceva parte del testo
originario! Il fatto che il Libro finisca dicendo “Giobbe ebbe di nuovo salute, ebbe di nuovo figli e
figlie, ebbe di nuovo molti beni”, è un’aggiunta posteriore da parte dell’ultimo redattore che,
rimasto scandalizzato di fronte a questa proposta di Dio, di un Dio che non viene a guarire Giobbe,
ma scende dall’alto dei cieli, si pone là sul suo letamaio, sul suo mucchio di cenere (le traduzioni
sono due) in cui Giobbe giace pieno di piaghe, lo abbraccia e gli dice: «Io ti amo!». E Giobbe in
quel momento capisce che Dio è un Dio non lontano, non è il Dio cattivo che gli manda il male, non
è il Dio che ce l’ha con lui, ma è un Dio che scende a condividere profondamente le sofferenze
degli uomini.
E allora ecco, preparato dal Libro di Giobbe, preparato poi anche dai testi di Isaia sul Servo
sofferente (ma che non abbiamo tempo di analizzare insieme), nella pienezza dei tempi, giunge
all’uomo attanagliato dal male e dal dolore, la risposta definitiva di Dio: Gesù Cristo, il Figlio
amatissimo, l’Unigenito! In Lui Dio scende definitivamente dai cieli, assume fino in fondo la nostra
condizione creaturale, si fa davvero uno di noi fino alla morte, e alla morte di croce!
D’ora in poi l’unica grande risposta al perché del male, sarà proprio la Croce del Figlio. La sola
fonte di chiarezza abbastanza luminosa per illuminare il dolore è la Croce di Cristo!
Guardate che mentre nelle vite degli eroi, così in auge presso l’antichità, si raccontavano con
dovizia di particolari i successi, le glorie, i trionfi dei grandi personaggi, e alla fine fugacemente si
accennava alla loro morte. I primi cristiani dedicano la maggior parte dei Vangeli a raccontare il
tragico trapasso del loro Maestro e Signore: la Sua Passione, la Sua morte, la Sua Resurrezione!
Qualcuno ha detto che i Vangeli sono il racconto della Passione con un prologo. Perché voi sapete
che proprio almeno un terzo di ogni Vangelo racconta la Passione del Signore. Perché fu questo che
veramente turbò la prima comunità: era inconcepibile che un Dio potesse soffrire e morire!
Guardate che mi ha sempre colpito che le prime eresie cristiane non mettono mai in dubbio la
divinità di Gesù Cristo, mettono sempre in dubbio la Sua umanità. Queste persone che avevano
conosciuto il Signore, che lo avevano visto risorto, credevano che fosse Dio ma riflettendo dicono:
«Non è possibile che Dio sia morto in croce, è una cosa inconcepibile, che un Dio abbia preso su di
sé la sofferenza degli uomini». E allora negano l’umanità di Cristo.
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Gli gnostici, Cerinto, Ebione, tutti grandi eretici della fine del primo secolo e dell’inizio del secondo
secolo, cominciano a dire: «No, la divinità è arrivata su Gesù nel momento del Battesimo, ma se n’è
andata prima della Passione». Oppure parlano di uno scambio di persone: «Probabilmente nella
confusione hanno ammazzato un cireneo ma non Gesù Cristo, insomma, perché è impossibile che
un Cristo muoia! Che Dio muoia!». Ecco veramente la tragedia, l’angoscia dei primi cristiani era di
vedere la morte di Dio, e di un Dio che non solo era morto, ma era morto in maniera tragica,
annoverato tra i malfattori.
Ecco che quindi i cristiani meditano profondamente sul mistero della sofferenza nella vita di Cristo.
E comprendono davvero che tutta la Sua vita, e non solo la Sua morte, sono stati un Evangelo, una
lieta Novella proprio sul tema del perché del dolore, del perché della sofferenza, del perché della
morte.
Innanzitutto Gesù fu certamente un grande taumaturgo. Leggiamo da tutte le parti “gli portavano
tutti i malati, vari muti che erano afflitti da varie malattie, dovunque giungeva in villaggio, città e
campagne, ponevano i malati nelle piazze, lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del
mantello”, ecco, e quanti lo toccavano guarivano. Gesù nella sua vita ha incontrato un gran numero
di malati, direi quasi che i malati andavano a Gesù e Gesù attirava attorno a sé i malati e Gesù li
curava. Il verbo “therapeuein” che è usato nei Vangeli 36 volte, o il verbo “hiasthain” guarire che è
usato 19 volte, significano qualcosa di più del semplice togliere una malattia: in inglese è “I care”è
il “prendere cura”, servire una persona, onorare una persona, avere sollecitudine di una persona!
Ecco che Gesù allora non è un semplice guaritore, è qualcuno che prima di tutto incontra il malato,
è qualcuno che a questo malato non predica mai la rassegnazione, non ha mai atteggiamenti
fatalistici, non gli dice mai che la sofferenza ti avvicina di più a Dio! Queste scemenze che ogni
tanto buttiamo così in giro, o per lo meno, sono cose che si capiscono in tutt’altra ottica; in tutta
un’altra ottica, ma che dette così al fratello nella sofferenza gli fanno venir voglia di darti un pugno.
Ed è un sacro pugno insomma!
La sofferenza non ti avvicina a Dio, è l’amore che ti avvicinerà a Dio anche nella sofferenza! È tutta
un’altra cosa! Se io riesco ad amare i fratelli e Dio nella sofferenza allora sì che mi avvicino a Dio!
La sofferenza mi allontana da Dio, la sofferenza è una negatività che Dio, fonte della vita, per primo
non vuole, per primo soffre, per primo aborre.
E allora vediamo che Gesù si lascia ferire dalla sofferenza degli altri, si fa prossimo al malato,
anche quando le precauzioni igieniche (pensate alla paura di contagio con i lebbrosi, oppure le
convinzioni religiose, pensate al pensiero di contrarre un’impurità rituale), prevederebbero di poco
una distanza fra sé e lui. Gesù invece li tocca, condivide, non guarisce senza condividere. Va vicino
a loro, fa dei gesti. Guardate che quando Gesù guarisce, tocca, gli mette le mani addosso, quasi
quasi si svuota della Sua Divinità. Pensate a quell’episodio che a me piace tantissimo
dell’emorroissa. Che ad un certo momento gli tocca il mantello e Gesù dice: «Mi son sentito
svuotato, ho sentito una potenza uscire da me!»
Ecco, davvero Gesù non fa dei gesti magici, sacrali, esorcistici per guarire. No, Gesù entra in
contatto intimo, Gesù parla con il malato, Gesù lo tocca, Gesù si svuota della Sua Divinità
prendendo su di Sé quasi, le sofferenze di questo malato. E soprattutto va dai malati più emarginati.
Voi sapete che nella Bibbia, nel Nuovo Testamento noi troviamo delle categorie che sono un po’ le
categorie predilette dall’azione di Gesù. Diremmo i malati di AIDS di oggi, se volete, ecco, i
lebbrosi e gli indemoniati, probabilmente malati psichici.
Ma attenzione, le sue meravigliose guarigioni non erano solo un beneficio per quei poveretti che ne
potevano godere, erano espressione del senso più profondo di chi era Gesù. Gesù è l’Essere
Salvatore, dell’Essere venuto a sconfiggere con la Sua Incarnazione proprio il limite creaturale, la
sofferenza, la malattia, la morte. E questi gesti erano quasi qualche cose che gli scappavano, perché
Lui era venuto per prendere su di sé il male e distruggerlo. E allora tutte le volte che incontrava il
male, ecco che automaticamente lo distruggeva.
Ecco perché Marco chiama i miracoli “dynamis” cioè potenza, non li chiama mai “semeion” segno
o “teras” prodigio. I miracoli nei Vangeli non sono un gesto propagandistico fatto da Gesù per
dimostrare di essere Dio, ma proprio no! Gesù non fa mai il miracolo a reti unificate dicendo:
«Venite tutti che vi faccio vedere che sono il Figlio di Dio e adesso guarisco il lebbroso o risuscito
un morto». No! Gesù prima di tutto ammonisce che segni e portenti potranno essere compiuti
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anche da falsi cristi e da falsi profeti. Alla generazione che gli chiede un segno, dice: «Non vi sarà
dato nessun segno se non il segno di Giona, il segno della Mia Resurrezione».
I miracoli sono invece l’effetto del Suo essere Dio che si incarna nelle sofferenze umane per
togliere dal mondo la sofferenza umana. Addirittura Gesù spesso impone il silenzio a quelli che
guarisce, proprio perché non vuole che si fraintenda: “il miracolo non è fatto per dimostrare che
Egli è Dio”. Ma il miracolo è la manifestazione della Sua Incarnazione, cioè del fatto che Dio
scende dai cieli per prendere su di Sé la sofferenza degli uomini, e trasfigurarla nella vita di Dio.
Ecco perché Gesù esige sempre la fede prima di chiedere un miracolo. Perché soltanto l’adesione a
Lui, “Dio che si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio”, permette di superare il limite creaturale,
permette di superare la sofferenza, permette di superare la morte. Gesù ribadisce che la salvezza
totale viene soltanto da Lui. E l’evento guarigione, seppure miracoloso, altro non è che un segno, un
epifenomeno del totale superamento del limite creaturale, che la Sua Incarnazione viene a
realizzare.
Ma Gesù non solo sta dalla parte di chi soffre, Gesù soffre Egli stesso! Gesù condivide l’esperienza
dell’umana finitudine. Di fronte ad ogni infermità, ad ogni malattia, il Vangelo ci dice: «Si
commosse, sentì compassione». Quando muore il Suo amico Lazzaro scoppia in pianto! Il Figlio
dell’uomo prova la sete, alla samaritana dice: «Donna, ho sete, dammi da bere»; prova la
stanchezza, il sonno! Talvolta doveva essere talmente bollito, poverino, che s’addormenta pure su
una barca in tempesta, pensate la stanchezza!
E guardate il medico Luca, voi sapete che Luca io lo amo molto perché come me fa due mestieri,
era il medico della mutua di San Paolo, e nello stesso tempo era un grande biblista perché ha fatto
un Vangelo e gli Atti degli Apostoli. Ecco, il medico Luca è l’unico che, durante la Passione, ci
descrive addirittura questo fenomeno che noi leggiamo in anatomia patologica che deriva da uno
stress, da un’angoscia indescrivibile: il sudar di sangue! Il sudar di sangue! Cioè quando la paura, il
terrore, la sofferenza sono tali che si ha questa vasodilatazione periferica, che ti procura la rottura
dei capillari periferici.
E nella Sua Passione Gesù prova ogni sorta di violenza fisica. Ci viene descritto come
schiaffeggiato, bastonato, flagellato, deriso, insultato, percosso, colpito da sputi, coronato di spine,
denudato, crocifisso! E Gesù muore solo, sperimentando l’abbandono da parte degli uomini, ma
anche l’abbandono da parte di Dio!
Gesù gridò a gran voce: « Elì, Elì, lemà sabactàni - Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!»,
la Sua è una fine tragica! Gesù muore urlando! “Gesù emesso un alto urlo spirò!”, un Dio che
muore urlando! Ci turba questo urlo di Dio! Questo grido di Dio! Avremmo preferito che morisse in
silenzio, che fosse davvero la pecora muta di fronte ai suoi tosatori. Ma invece questo grido
attraversa i secoli, questo grido attraversa la storia! Ma in quel grido Dio raccoglie tutte le grida di
tutti gli uomini di tutti i tempi, di tutta la Terra, uomini che soffrono disperati, impotenti, sfiniti. Il
grido è l’espressione di chi non ne può più. Ecco veramente Gesù provò fino in fondo la sofferenza
degli uomini!
E come dice la Lettera agli Ebrei: «Condivise la nostra condizione rendendosi in tutto simile ai
fratelli», infatti proprio per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente è in grado di
venire in aiuto a quelli che subiscono la prova. Dice Matteo: «In Lui si adempì ciò che era stato
detto dal Profeta Isaia: “Egli ha preso su di Sé le nostre infermità e si è addossato le nostre
malattie”».
Allora vedete, la croce non è il momento in cui un Dio vendicativo ammazza il Figlio per
riconciliare l’umanità. La croce è veramente il momento massimo dell’amore di Dio! È il momento
culminante di questo chinarsi di Dio sull’umanità per abbracciarla e per salvarla. Ecco perché la
croce è scandalo, ecco perché la croce è obbrobrio, ma la croce è il fondamento della nostra fede.
Tutta la Teologia di Paolo, che sarà il grande teologo della prima Chiesa, è una Teologia Crucis.
Paolo dice addirittura che noi siamo di fronte alla “Parola della croce!”: bellissima questa
espressione di 1 Corinti 1,18.
La Parola della croce. Questa croce che è la Parola di Dio, definitiva per noi, sui grandi temi
dell’umanità, sul perché vivo e perché muoio, Dio risponde con la Parola della croce. Questa Parola
che era sicuramente scandalo, scandalo e obbrobrio: scandalo per i pagani e obbrobrio per gli ebrei.
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Gli storici e i letterati romani parlavano della croce come supplizio crudele ed orrendo, pena
estrema e massima riservata agli schiavi.
Parlavano di una “mors turtissima crucis”! Plauto parla della “mala crux”, cioè croce sommo male e
parla proprio di “maxima mala crux”! E addirittura dal terzo secolo avanti Cristo la parola: «Che tu
sia crocifisso!», era la peggiore maledizione che uno poteva mandare a un altro. È stato trovato un
graffito a Pompei su cui uno ha scritto “che tu sia crocifisso”! Era il nostro mandare al diavolo, ma
in maniera proprio brutale, un’altra persona.
Per i giudei poi, pensate, un crocifisso è un maledetto da Dio perché la Scrittura diceva in
Deuteronomio 21, 23 «Maledetto chi pende dal legno». Sono significative le parole dell’ebreo
Trifone che nel dialogo scritto da Giustino dice: «Che il Messia debba essere crocifisso e morire
così vergognosamente, ignominiosamente della morte maledetta dalla Legge, noi non possiamo
neppure arrivare a concepirlo!», quindi vedete è uno scandalo, gli uomini non riescono a concepire
che un Dio muoia e muoia in croce! Ma questa croce diviene rivelazione, questa disgrazia diventa
grazia, senza croce, non c’è Vangelo. La croce contrasta la razionalità pagana e la religiosità che si
nutre di segni, che si nutre di miracoli, di portenti.
Nella croce Dio dimostra quello che è! L’amante così amante, che si spoglia di tutto, che di tutto fa
dono, che diventa veramente il più povero che ci sia. È un Dio che abbraccia la povertà assoluta
degli uomini! È il Dio che fa “Kenosis” dice Paolo, cioè che si svuota, che si abbassa, che diventa
condiscendente al massimo verso gli uomini, è la potenza dell’amore! È la potenza dell’amore, ecco
perché la croce è davvero la Parola definitiva di Dio.
Ecco io dico spesso questo, spesso noi abbiamo perso lo scandalo della croce. Io ogni tanto sono
grato ai nostri amici islamici che si battono perché noi togliamo i crocifissi dalle scuole, o ci
interrogano su questo crocifisso. Perché loro dicono una cosa molto bella, dicono: «A noi fa schifo,
perché voi siete quelli che adorano un cadavere appeso a un legno». Fratelli e sorelle, dovremmo
avere noi questo senso di ribrezzo di fronte ai crocifissi. Cioè, ancora emozionarci per un Dio che è
diventato cadavere appeso a un legno! Noi abbiamo perso questa capacità di “emozionare”.
Lo dico spesso a volte così in mezzo ai miei pazienti che si spogliano per essere visitati, al collo
hanno la croce insieme al quadrifoglio, il cornetto o va a sapere che cosa… oppure nelle nostre
chiese ci sono questi crocifissi così anonimi, così stilizzati che non ci emozionano più. Abbiamo
perso l’emozione di capire che il nostro Dio è morto su una croce! Ecco noi dovremmo sapere
ancora inorridire di fronte al Crocifisso, il Crocifisso dovrebbe farci questo santo ribrezzo! Come
quando vediamo le fotografie di quelli che sono morti nei lager nazisti, o delle persone torturate
nelle prigioni dell’America Latina o dell’ex Iugoslavia.
Siamo l’unica religione che ha come emblema non il pacifico Budda o un triangolino, o una luce,
ma un torturato!!! Un Crocifisso!!! Un cadavere attaccato al legno con le efferatezze più brutali che
la civiltà di allora, o l’inciviltà di allora avevano saputo inventare.
Ma proprio per questo ogni uomo, anche quello che è stato colpito dal male più terribile, anche
quello che è stato colpito dall’angoscia più forte, può volgere al Crocifisso lo sguardo e trovare in
quel Dio che è impiccato là su quella croce, la massima comprensione, la massima condivisione, la
più piena solidarietà. Non vi è dolore che Dio non abbia preso su di sé su quella croce, non vi è
sofferenza che Dio non abbia preso su di sé su quella croce!
Noi lo cantiamo spesso il Venerdì Santo nella liturgia, quando andando a baciare la croce,
quell’antico inno ci fa dire: «O voi tutti che andate per la strada, guardate e vedete se c’è un dolore
pari al mio dolore». Chiunque abbia sofferto la sofferenza più atroce, può sempre volgere lo
sguardo a quel Crocifisso e sapere che Gesù l’ha provato, che Gesù l’ha capito, che Gesù ha preso
su di sé quella mia sofferenza.
Sul Volto sfigurato, disfatto di Cristo, sono stampate davvero tutte le sofferenze del mondo. Quel
Volto sfigurato raccoglie tutte le torture che gli uomini di ogni tempo hanno subito o dovranno
subire. Il Corpo di Cristo diventa allora il continente smisurato del dolore umano. Su quella croce
c’è davvero il peso di tutte le persone che non ne possono più, è molto commovente che anche Gesù
non ce la facesse più. Ad un certo punto lo capiscono e gli mandano qualcuno che lo aiuti. E
guardate chi è che lo aiuta? Lo aiuta un cireneo, cioè un “vu cumprà”, un marocchino. Non lo
aiutano gli ebrei, i sommi sacerdoti, i discepoli, ma pigliano un extracomunitario che passava di lì,
un vu cumprà, un marocchino, un cireneo: veniva da Cirene.
Torino, 24 novembre 2011 C. Peschiera Dott. Carlo Miglietta (2° incontro) 8
E lui aiuta a portare la sofferenza del Signore, un Signore che non ce la faceva più. Quella croce è
davvero un parafulmine! È una croce pesante, perché è la croce di milioni di creature. E Cristo che
le porta tutte, diventa, dice Luca 23, 26: «Colui che non ce la fa più». E da quel momento chiunque
può gridare: «Non ne posso più!», sa che c’è Qualcuno che lo comprende perché ha provato.
E allora ecco, io credo che solo se ogni volta che guardiamo il Crocifisso sappiamo ancora
emozionarci, sappiamo ancora turbarci, sappiamo ancora scandalizzarci per un Dio che ci ha amato
tanto da finire così su una croce per prendere tutte le sofferenze degli uomini, allora siamo in grado
di comprendere, come dice Paolo, l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità dell’amore di
Cristo che sorpassa ogni conoscenza.
E guardate, direi che l’amore e la misericordia di Dio vanno oltre, non solo il Signore muore in
croce, il Signore va all’inferno con noi. Il grande mistero della discesa agli Inferi, che noi diciamo
sempre nel Credo, “discese all’inferno e il terzo giorno risuscitò da morte”, guardate che è forse
davvero il momento culminante dell’Incarnazione la discesa agli Inferi!
Purtroppo noi cattolici abbiamo perso la spiritualità della discesa agli Inferi che invece è
fondamentale nella Chiesa Ortodossa. Nella Chiesa Ortodossa il giorno più importante del triduo
pasquale è il Sabato Santo, in cui si celebra la discesa agli Inferi. Noi invece il Sabato Santo si dice
che è l’unico giorno che “i preivi a fan gnente” (i sacerdoti non fanno nulla) perché non c’è la
Messa, han fatto la funzione del venerdì, si aspetta la veglia pasquale perché Gesù è agli Inferi.
Ma vi immaginate che cosa vuol dire che Gesù scende all’inferno? Che Gesù non solo muore, ma
Gesù va nella tomba, Gesù va a fare i vermi con noi, Gesù scende nei nostri inferni! Non c’è un
inferno che Dio non abbia visitato, non c’è un inferno che Dio non abbia preso su di sé.
Ecco la bellissima icona della Resurrezione nella mistica russa (voi la ricordate?), in cui l’icona
della Resurrezione cos’è? E’ Gesù che scende agli Inferi, e là ne stravolge le porte degli Inferi e tira
su con le Sue mani, Adamo ed Eva e tutte le altre creature che si attaccano in una lunga catena ad
Adamo ed Eva. Ecco, è un Dio che va all’inferno per noi. È un Dio che visita tutti i nostri inferni
per portare davvero la Sua luce, per portare la Sua Redenzione.
Certo, se tutto finisse con Cristo che fa i vermi agli Inferi, sarebbe stata una grande persona, sarebbe
stato un grande annunciatore, sarebbe stato un profeta di Dio, ma sicuramente la Sua missione
sarebbe stata ben più modesta di quella che invece è perché il terzo giorno Gesù risuscita dai morti!
Fratelli e sorelle, è la Resurrezione il fondamento della vita cristiana, è la Resurrezione il Kerigma,
il punto forte di tutta la nostra fede. Tante persone anche grandissime sono morte, ma Gesù il terzo
giorno risorge. E nella Sua Resurrezione, sono vinti per sempre il male, la sofferenza, la morte, ecco
perché è il nucleo della fede cristiana. Ecco perché celebriamo il Natale, ma perché c’è la Pasqua:
tutti siamo nati, tutti moriremo, uno solo però è risorto ed è il Cristo!
E nel trionfo della Resurrezione, la finitudine creaturale, la sofferenza, le nostre paure, le nostre
angosce, il nostro limite, vengono definitivamente sconfitti.
«La nostra morte è vinta. Dio dimorerà fra loro, essi saranno Suo popolo, ed Egli sarà il Dio con
loro, e tergerà ogni lacrima dai loro occhi. Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né
affanno, perché le cose di prima sono passate. Ecco, io faccio nuove tutte le cose», canta
l’Apocalisse contemplando la Resurrezione. E Paolo citando i profeti dice: «La morte è stata
ingoiata per la vittoria. Dov’è ormai o morte la tua vittoria? Dov’è o morte il tuo pungiglione?».
Vedete, ma nella Resurrezione di Gesù, si compie qualche cosa ancora di più grande, non solo il
dolore, la morte, vengono annientati per sempre, ma noi siamo adottati a figli, diventiamo partecipi
della vita divina. Ormai noi in Cristo viviamo della stessa vita divina!
Ecco, nella morte e Resurrezione di Gesù, si compie il progetto della creazione. Di quel Dio che
aveva creato l’uomo altro da Lui, perché questo altro da Lui, diventasse Lui. Perché questo altro da
Lui godesse della Sua vita divina, della Sua infinitezza, della Sua immortalità, del Suo essere più
profondo. Si compie per noi la profezia della Genesi e Dio diventa a noi accessibile, Dio passeggia
con noi nella brezza della sera, chiacchiera con noi, chiacchiera con la Sua amata, la Sua fidanzata,
la Sua sposa che siamo noi, dice Paolo: «Fatti figli, ormai, ed eredi».
Vedete, qui le nostre parole povere tacciono e soltanto la contemplazione nello Spirito Santo può
aprirci in qualche misura a questo mistero.
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Vorrei a questo punto fare due considerazioni. A questo punto voi capite chiaramente che i nostri
corpi sono importanti per il Signore. Noi abbiamo nelle Scritture, una vera e propria Teologia del
corpo. E tutto l’annuncio biblico altro non è che un dare un senso, un valore profondo ai nostri
corpi. Guardate che noi nel Credo, diciamo “credo nelle risurrezione della carne”!
Voi sapete che il concetto di anima non è un concetto biblico. La Bibbia non dice che c’è l’anima,
mai! Se non nel Libro della Sapienza, ma è un libro già greco scritto 50 – 100 anni prima di Cristo,
è un libro un po’ stranetto. Non si parla mai di anime, si parla sempre di persone, di persone! Non si
parla mai di vita futura nella Bibbia, mai! Si parla sempre di vita eterna, c’è una bella differenza!
Cosa vuol dire?
Vuol dire che questo mio corpo vedrà il Salvatore! Che questo mio corpo che spesso è flagellato
dalla sofferenza, dalla malattia, è un corpo prezioso agli occhi di Dio! Paolo nella lettera ai Corinti,
parla di una cosa che tutte le volte che io rinomino, mi emoziona, mi viene la pelle d’oca, parla
della santità del corpo. Dice una frase che tutte le volte che la sento, resto emozionato e non la
riesco nemmeno a capire lontanamente nella sua profondità. Quando Paolo nella lettera ai Corinti
dice un’espressione molto forte: «Il corpo è per il Signore, ma il Signore è per il corpo». Guardate
che questa è una frase incredibile!
Che i nostri corpi siano per il Signore, beh, quello è prevedibile perché ci ha fatti per Lui. Ma che il
Signore sia per i nostri corpi, questa è una frase che dà ebbrezza! Questa è una frase che dà
vertigini! Cosa vuol dire che Dio è per i nostri corpi? Tommaso d’Aquino dice: «Il corpo è stato
ordinato a questo: affinché sia del Signore Gesù Cristo! E il Signore, è stato dato per questo agli
uomini: affinché conformi i corpi umani alla Sua gloria!», vedete, il Signore è per il corpo. Cioè, il
Signore vive per la mia pancetta, per la mia calvizie, per la mia costola rotta. Il Signore vive per
questa cosa qui! Il mio corpo è prezioso agli occhi del Signore! Il Signore è per il corpo. E voi
sapete che Paolo suffraga, nella lettera ai Corinti, questo sconvolgente enunciato con sei
motivazioni che danno ancora forza alla santità dei nostri corpi.
La prima di ordine escatologico: la resurrezione della carne: “i vostri corpi sono chiamati alla
resurrezione”! Sono chiamati a vivere in eterno! Io vivrò di fronte a Dio con il mio corpo che
sicuramente sarà questo corpo qui, trasfigurato nella gloria, purificato dai suoi limiti e dalle sue
malattie e dalle sue sofferenze, ma è questo corpo qui!
Secondo argomento: noi siamo membra del Corpo mistico di Cristo. Ciascuno di noi è parte del
corpo mistico di Cristo!
Terzo argomento: il credente è come sposato al Signore. E come l’uomo e la donna diventano un
solo corpo, una sola carne, nel Libro della Genesi, così l’uomo è chiamato a questa intimità nuziale
con Dio. Terrò un corso di quattro lezioni a gennaio e febbraio alla Parrocchia di Sant’Anna in Via
Brione 40, vicino a Piazza Rivoli, sul tema della nuzialità nella Bibbia. Contempleremo questo
mistero di essere chiamati a diventare gli amanti di Dio, e come i nostri Matrimoni, le nostre unioni
terrene siano chiamate ad essere Sacramento, profezia di questo amore eterno, meraviglioso,
infinito di Dio per ciascuno di noi.
Quarto argomento: il peccato contro il proprio corpo, distrugge l’Adam, cioè fa perdere quello
Spirito Santo, che è stato infuso nei nostri corpi per essere “Selem Demut”, immagine e somiglianza
stessa di Dio.
Quinto argomento: siete Tempio dello Spirito Santo! Siete dei tabernacoli viventi del Signore!
Sesto argomento: non appartenete a voi stessi ma a Cristo, glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
Allora vedete, qui c’è davvero una grande riflessione che porta a far capire che quando io sono
malato, sofferente, non solo non è Dio che mi manda la sofferenza, ma Dio è per il mio corpo.
Dio sta dalla parte del mio corpo, Dio è Colui che entra potentemente nel mio corpo per guarirlo
tramite l’Incarnazione del Figlio, e prende su quella croce la mia malattia, la mia angoscia, la mia
paura, la mia debolezza, la mia sofferenza, il mio morire, e questo dice anche il valore di ogni
corpo. Anche il corpo che sembra il più martoriato, il corpo che sembra più insignificante, il corpo
in fase terminale è qualche cosa per cui è Dio! Dio è per il corpo, Dio potremmo dire: «Dà la vita
Sua per questo corpo». Vedete l’importanza del corpo! Qui c’è poi tutta la teologia della sessualità,
c’è la Teologia della giustizia, come possiamo permettere che i corpi di tanti nostri fratelli siano
falcidiati dalla fame, siano falcidiati da malattie curabili, per una ingiusta distribuzione dei beni?
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C’è la teologia di tutta la pastorale sanitaria, di coloro che si dedicano alla cura dei corpi. Sarebbe
un discorso molto grande, molto vasto.
Altro tema importante che dobbiamo affrontare a questo punto è il tema della preghiera. Cioè,
dobbiamo chiederci: «Ma allora se l’Incarnazione di Cristo è la soluzione di tutti i nostri problemi
di sofferenza, di dolore, ecc. ha ancora senso pregare per una guarigione?
O siamo guariti soltanto “nell’eschaton”, cioè nell’incorporazione definitiva e finale, alla morte e
Resurrezione di Gesù Cristo?» E qui fratelli, c’è un grande problema. Perché noi leggiamo nel
Nuovo Testamento due cose che sembrano apparentemente contraddittorie. Da una parte noi
leggiamo: «Pregando, non sprecate parole come i pagani i quali credono di essere esauditi a forza di
parole, non siate come loro perché il Padre vostro sa già le cose di cui avete bisogno prima ancora
che gliele chiediate». Dall’altra parte, Gesù spesso ci esorta: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e
troverete, bussate e vi sarà aperto, perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, a chi bussa sarà
aperto».
E addirittura in Luca c’è la parabola dell’amico importuno che ottiene l’esaudimento dell’altro, già
a letto con i bambini, non per amicizia ma per la sua insistenza. E Gesù ci invita a pregare sempre
senza stancarci, e racconta la parabola del giudice disonesto che dà udienza alla vedovella, non per
senso di giustizia, ma perché l’altra gli ha rotto le scatole.
E allora come conciliare l’invito a non sprecare parole perché tanto papà sa già tutto, con quello
invece di pregare incessantemente? E poi Dio ha bisogno di essere stancato dalle nostre preghiere
per esaudirci? E ci esaudirà solo per la nostra cocciutaggine e non per amore? Anzi, Dio è un
disonesto come quel giudice che dà risposta solo a chi prega tanto, e non per giustizia? E poi con
che criterio Dio esaudisce le nostre preghiere? Conta la loro quantità? O contano addirittura le
raccomandazioni come in questa vita?
L’altra mattina a RAI Uno dopo il giornale radio si faceva la mattinata sulle raccomandazioni:
anche Dio mi esaudisce se io mi faccio raccomandare da un Santo piuttosto che quell’altro? Padre
Pio è più forte di San Pancrazio? Se io mi rivolgo a Padre Pio mi fa la grazia, se mi rivolgo a Santa
Cristina, no? C’è una mia paziente che mi dice sempre: «Ah, dottore, la Consolata è molto più
potente dell’Ausiliatrice!», e io resto sempre colpito, ma vedete che nella religiosità popolare ci
sono anche queste manifestazioni. Ecco! Allora cerchiamo di capire.
Allora, punto uno, Dio sa qual è il bene supremo per noi e (grazie a Dio!) non cambia idea per le
nostre preghiere, questo dovete mettervelo in testa! Lo dice il Profeta Malachia, capitolo 3, versetto
6: «Io sono il Signore e non cambio!» e questo è ovvio! Perché se Dio cambiasse idea per la nostra
preghiera, i casi sono due: o ha pensato qualcosa che non è il massimo bene per me prima della mia
supplica, e questa è una bestemmia; oppure dopo mi dà qualche cosa che non è il massimo bene per
me, perché gliel’ho chiesto io, e questa è un’altra bestemmia.
E Paolo ha capito tutto di questo. Perché Paolo dice: «Noi non sappiamo che cosa sia conveniente
domandare, ma lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, e intercede con insistenza per noi con
gemiti inesprimibili» Romani 8, 26, Paolo dice quindi che noi non siamo esauditi perché non
sappiamo cosa domandare, non chiediamo i beni per noi convenienti. E l’Apostolo Giacomo dice
proprio questo: «Non avete perché non chiedete. Chiedete e non ottenete perché chiedete male», e
allora attenzione! Ma se Dio mi ama alla follia che senso ha la preghiera di domanda?
Allora noi che siamo dei padri cattivi su questa Terra, se mio figlio starnutisce due volte, gli ho già
fatto fare una tac polmonare e la broncoscopia, e ho già fatto di tutto perché sia sano, e io sono un
peccatore! Ma se Dio, che mi ama alla follia, ha bisogno che noi andiamo lì a supplicarlo per
chiedere di star bene, la salute, la guarigione? Noi guariremmo nostro figlio soltanto se tutte le
mattine dicesse: «Oh, padre, per favore, guariscimi per tutti i mali», e mi fa trentadue ore di
preghiera, oppure lo guariamo perché ci ama?
Allora vedete, bisogna andare un pochettino più in là. Certo il credente può chiedere anche a Dio il
miracolo, cioè di sospendere per un attimo questo limite creaturale, perché a “Papà” si deve dir
tutto, quindi è anche giusto chiedergli che stiamo bene, che guariamo dai nostri mali, che la vita ci
sia più serena possibile. Ma noi tutte le volte che preghiamo dobbiamo soprattutto chiederci di
capire che questa finitudine che noi abbiamo non è una disgrazia, ma il dono più grande che Egli
poté farci, perché ci permette di relazionarci a Lui nell’amore. E allora la vera preghiera del
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credente non è chiedergli questo o quel miracolo, ma è chiedergli di capire che Gesù su quella
croce ha preso e prende su di sé la mia malattia, la mia sofferenza, la mia morte.
Questo è il senso cristiano del “sia fatta la Tua volontà”, che non è la volontà di Dio che io mi sia
rotta una costola, ma la volontà di Dio è che tutte le sofferenze dell’uomo siano prese nella croce
del Figlio, e vinte e trasfigurate grazie alla Sua Resurrezione nella meravigliosa vita eterna piena
dell’amore di Dio. E allora ecco la vera preghiera di Dio è che noi capiamo questo mistero, che noi
ci interroghiamo se siamo o no all’interno di questo mistero d’amore di Dio.
Se abbiamo compreso, o no, che Dio ha preso sulla croce del Figlio la mia malattia, la mia
sofferenza, la mia morte. E allora ecco perché Matteo dice: «Chi tra di voi a un figlio che gli chiede
un pane, darà una pietra? O se gli chiede un pesce darà una serpe? Se dunque voi che siete cattivi
sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a
quelli che domandano.»
Ma Luca, il medico, che è più attento al problema del dolore, della sofferenza, della malattia,
cambia nel suo testo parallelo le cose buone in “lo Spirito Santo”, e dice: «Se dunque voi che siete
cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà lo
Spirito Santo a quelli che lo chiedono».
La vera preghiera di domanda non è chiedere la guarigione di questo o quel bubù, la vera preghiera
di domanda è richiedere lo Spirito Santo che ci trasformi secondo il piano di Dio! Nella preghiera
non chiedo a Dio di cambiare i Suoi piani, nella preghiera chiedo a Dio di cambiarmi secondo i
Suoi piani! La vera preghiera è quindi sempre richiesta dello Spirito Santo perché ci plasmi, perché
ci trasformi secondo il piano di Dio, perché ci faccia capire questo mistero d’amore
dell’Incarnazione, Passione e morte e Resurrezione del Signore!
E Dio esaudisce sempre la nostra preghiera dandoci non questo o quel bene, ma il sommo bene “lo
Spirito Santo”! Che come dice Gesù, vi insegnerà ogni cosa, vi ricorderà tutto quello che vi ho
detto. Ecco lo Spirito Santo che ci fa capire che siamo all’interno di un progetto creazionale
d’amore di Dio, che su quella croce trova la sua pienezza e trova il suo compimento.
A questo punto concluderei con alcune considerazioni.
Se Cristo morto e risorto è la grande risposta di Dio al perché del dolore e della sofferenza, il
cristiano è colui che prolunga nell’oggi Cristo morto e resuscitato.
Che cos’è la Chiesa (L’ho scritto nel mio ultimo libro) se non questo prolungamento di Dio nel
mondo, oggi? La Chiesa è questo! La Chiesa è Gesù per gli altri, oggi. Ormai siamo noi il primo
Sacramento di Cristo per chi è nell’afflizione. Le nostre gambe sono le gambe con cui Cristo arriva
al sofferente. Le nostre braccia sono le braccia con cui Cristo soccorre il sofferente. La nostra bocca
è la bocca con cui Cristo consola il sofferente, gli annuncia la salvezza. Siamo noi i mediatori della
salvezza per i nostri fratelli!
E allora ecco che il credente è colui che si fa prossimo a chi è nella sofferenza, con una presenza
effettiva ed affettiva. Il credente è colui che si pone vicino a chi è nel dolore per non farlo sentire
solo, per vivere il suo dolore non come una tragedia personale, ma come un evento aperto alla
relazione degli altri, alla relazione dei fratelli, comunitario, ecclesiale. E il credente allora lotterà per
la salute degli altri. Guardate che é interessantissimo, quando Gesù chiama a sé i suoi, li chiama
perché, primo: stessero con Lui, dice Marco: “Stare con”; secondo: per guarire i malati e cacciare i
demoni. Cioè per prolungare sulla Terra, la Sua opera santifica, per portare già su questa Terra
questa dimensione di Regno di perfezione in cui la malattia, la sofferenza, la morte, sono sconfitte.
E allora il credente cercherà di curare al meglio il malato, di alleviargli tutte le sue sofferenze, di far
progredire la medicina, se è possibile di portare una guarigione. Ma in ogni caso, gli annuncerà
quello che ha di più bello, quello che ha di più prezioso, che è la salvezza di Cristo. Questo è un
discorso difficile, eh, perché quando uno è nel tempo della malattia, è ben difficile che sia
disponibile ad accogliere l’Evangelo.
Ecco perché io dico sempre che la prima lezione di catechismo ai bambini a cinque anni, o a sette
anni come la fanno adesso, va fatta sul tema della morte, per dire: «Bambino carissimo, uno solo nel
mondo ha avuto la risposta al perché del morire: Gesù Cristo! E tu sei qui per metterti alla sequela
di Colui che ha vinto la morte».
Se noi cominciamo già da subito, a riflettere sul tema della sofferenza e della morte, dalle prime
lezioni di catechesi, quando saremo nel momento della nostra sofferenza, della nostra morte,
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avremo una certa capacità di capire queste cose. Se invece non ci è mai stato annunciato prima, a
volte addirittura le parole sono vuote, sono vane, non sono recepite, e allora conta molto di più
tenere una mano, passare delle ore, dare un rapporto d’amore, fare sentire il Signore vicino all’altro,
più che dargli magari un annuncio soltanto di tipo intellettuale. Ma certo, allora il credente è il
mediatore della salvezza, ma il credente è anche nel mondo l’uomo della speranza. Della speranza!
E guardate, la speranza del cristiano è qualche cosa di molto concreto, di molto bello, non è lo
“speruma” dei piemontesi che “as sa mai!”, per noi “speriamo, non si sa mai se…”
Dice Paolo: «E’ certezza di cose sperate». Cioè la nostra speranza si fonda sulla Resurrezione di
Gesù Cristo. Allora la speranza cristiana è qualche cosa di solido, al punto che Paolo dirà: «Noi
sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, noi riceveremo un’abitazione da Dio, una
dimora eterna, non costruita da mani d’uomo, ma nei cieli. Perciò addirittura sospiriamo in questo
nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste».
Quanti di noi sono desiderosi di morire? Eppure il credente è colui che sa che lo Sposo lo sta
attendendo, allora la morte non gli fa paura, ma è desideroso di andare verso la dimora celeste! Così
dunque siamo sempre pieni di fiducia, e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio,
lontano dal Signore! Camminiamo nella fede e non ancora nella visione! Ma siamo pieni di fiducia,
e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore, e sono le morti dei Santi!
Giovanni XXIII, noi lo sappiamo, quando il suo medico personale gli disse tre mesi prima della sua
morte: «Santità, lei ha un cancro al colon, e ha metastasi ormai dappertutto, e quindi avrà due - tre
mesi di vita». Giovanni XXIII lo guarda e gli risponde con il Salmo 121: «Esultai quando mi
dissero: andremo alla casa del Signore». Fratelli e sorelle, questi sono i Santi, sono le grandi morti!
Il credente è colui che ha una speranza così forte che anche la morte, sì, ne ha paura, perché anche
Gesù aveva paura del morire. Ma sa che la morte è un passaggio a una realtà di pienezza e a una
realtà di gioia. Sì, di gioia! Perché il credente è l’uomo della speranza ma è l’uomo della gioia,
perché sa che Dio lo ama sempre e lo libererà.
Guardate che la gioia non è un elemento accessorio delle nostre vite di cristiani, la gioia è proprio
fondamentale! La gioia è un comando., è un comando evangelico! È un comando del Nuovo
Testamento, quante volte Paolo dice: «Siate lieti! Ve lo ripeto: siate lieti!». Non è una gioia che
viene a buon mercato, ma che deve derivare dalla nostra fede, e anzi deve essere una gioia anche
nella sofferenza, anche nella tribolazione.
Io ho qui una serie infinita di brani del Nuovo Testamento, in cui si dice: «Gli Apostoli se ne
andarono dal Sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore di Gesù». Paolo dice: «Sono pieno di
gioia, pervaso di ogni consolazione in ogni tribolazione. E se anche il mio sangue deve essere
versato, sono contento e ne godo, e anche voi godete e rallegratevi con me. Sono lieto delle
sofferenze che sopporto, siate dunque lieti».
Sono i grandi temi che affronteremo nell’Avvento. Addirittura in Avvento c’è la terza domenica
che è la domenica Laetare. Sarebbe interessante fare un po’ di storia dell’Avvento. L’Avvento nasce
dalle Chiese Galliche, le quali Chiese Galliche lo avevano impostato come una Quaresima:
quaranta giorni di penitenza in espiazione dei peccati. La Chiesa Latina invece, la Chiesa di Roma,
dà all’Avvento una collocazione di gioia.
L’Avvento è la letizia dell’uomo nel dolore, nella sofferenza, che finalmente trova una risposta, che
finalmente trova nell’Incarnazione del Figlio, un senso. Allora sapete che c’è addirittura una
domenica, la domenica laetare, cioè rallegrati della gioia, in cui si legge in Filippesi 4: «Rallegratevi
nel Signore sempre. Ve lo ripeto ancora, rallegratevi! Il Signore è vicino, non angustiatevi per
nulla».
Ecco la gioia sempre dovrebbe essere la caratteristica di tutti i cristiani, e allora capite anche certe
frasi di certi mistici, che ci sembrano aberranti. Io ho la moglie di Lucca, che ha la casa davanti al
santuario di Santa Gemma Galgani, proprio lì, e su quel santuario c’è scritto: «Chi più ama, più
desidera soffrire», io tutte le volte che lo guardo faccio dei gestacci, perché è una frase terribile letta
così. Ma se voi la capite nella mentalità di quei secoli in cui veniva scritta, capite che la santità sta
nel fatto di avere una gioia interna, una sofferenza che nessuno ti toglie, anche se sei nella grande
sofferenza, anche se sei nella prova. Allora non chiedi a Dio la prova e non chiedi a Dio la
sofferenza, perché saresti un matto se chiedi queste cose: noi aneliamo alla felicità!
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Ma il credente è colui che anche se è nella prova, anche se è nella sofferenza, sa che un Dio lo ama
e un Dio lo salva, e quindi questa gioia non gliela toglie nessuno! Allora davvero chi più soffre più
ama, perché il vero credente è colui che anche nella sofferenza estrema si mantiene nella
dimensione dell’amore di Dio e gode di questa presenza.
Guardate, io dico sempre che la vera fede si manifesta proprio nel sapere essere sereni e gioiosi
nella prova e nella grande prova della morte. Ho sempre timore perché dico: «Spero che Padre
Eterno non mi mandi nessuna prova perché io sono piccolo e debole; ma il Signore mi ha dato
anche la grazia di vedere delle grandi persone che sono morte davvero nella gioia; tribolati magari
da malattie gravi, tremende, dolorose, ma che hanno mantenuto una serenità, una speranza, una
voglia di incontrare il loro Signore, una capacità di relazione d’amore nonostante la malattia,
nonostante la sofferenza». Certo, attenti! Guardate che la guarigione di Cristo non è solo un evento
però escatologico, cioè il Signore con la nostra morte ci fa poi risorgere e quindi andremo in questo
Paradiso di felicità. Guardate che il Signore comincia a guarirci già oggi. Io qui dico solo alcune
parole e poi smetto.
Sapete che nella Chiesa ci sono dei veri e propri movimenti che portano avanti dei cammini di
guarigione, ma che vanno capiti un momentino in questo senso: primo, nella Bibbia non si parla
mai di salvezza. Si usa un termine ambiguo che è un verbo greco “sozein” che significa sia salvezza
che guarigione. Ogni salvezza è una guarigione, e ogni guarigione è salvezza perché è in
corporazione a Cristo. E Dio nella Scrittura è presentato come “Raphael”, cioè “Colui che
guarisce”. Voi sapete che una delle Sue manifestazioni è l’Angelo Raffaele, cioè la manifestazione
di Dio che guarisce. Ecco questa guarigione-salvezza non è soltanto alla fine del mondo, comincia
già nell’oggi!
E io vorrei finire proprio delineando un piccolissimo percorso di guarigione già oggi, perché credo
che dobbiamo imparare ad essere diversi, a dare ragione della speranza che è in noi, ad essere
portatori di gioia già adesso, subito, nel nostro quotidiano.
Allora, prima di tutto Gesù dice: «Io sono la via, la verità e la vita». Allora se Gesù è la luce, la via,
la verità, già oggi disperde le mie tenebre, già oggi disperde le mie paure, già oggi disperde le mie
disarmonie.
Spesso l’uomo non si sente amato, spesso tante patologie derivano dal fatto che ci sentiamo soli,
angosciati. Ma allora non ci siamo lasciati inondare dall’amore di Dio! Non ci siamo lasciati
prendere, assorbire dall’amore di Cristo!
Altre volte è il peccato che segna le nostre sofferenze. Dice Ezechiele: «Se il malvagio si ritrae dai
peccati che ha commesso, vivrà per la giustizia che ha praticato». Ecco allora la necessità del
perdono per la guarigione. Tante malattie fisiche e psichiche derivano dall’essersi allontanati dalla
Legge di Dio, derivano dall’aver abbandonato la Sua Parola di salvezza. E allora ecco che chi sa
chiedere perdono dei sui peccati ricompone la sua unità interiore.
Molte malattie, molte sofferenze sono causate dalle divisioni tra di noi. Paolo dice una cosa molto
grossa 1 Corinti 11: «Sento dire che vi sono molte divisioni tra voi, è per questo che tra voi ci sono
molti ammalati ed infermi», guardate che è una parola molto forte! 1 Corinti 11 è proprio il capitolo
sull’Eucaristia, eh! Quante sofferenze a volte io vedo negli amici, nei pazienti per lotte, per gelosie,
per invidie, perché non ci si perdona a vicenda, perché non ci si capisce a vicenda! Spesso tante
sofferenze psichiche, fisiche, potranno svanire se sappiamo perdonarci e chiedere perdono a Dio dei
nostri peccati. Ecco allora l’importanza di pensare come Cristo. Si dice che il 67% dei pazienti che
afferiscono a un ambulatorio di medicina generale, afferisca per malattie psichico-somatiche, cioè
perché stressato, perché angosciato.
Voi sapete quanto la disarmonia interiore ti fa venire l’ulcera, ti fa venire la pressione alta, ti fa
venire l’infarto, ti indebolisce di fronte alle tue reazioni immunitarie. L’importanza invece di essere
rappacificati interiormente, di sentirsi già oggi amati dal Signore, di avere in noi il pensiero di
Cristo, come dice Paolo.
Ma guardate che Paolo dice una frase molto più grossa, perché in 1 Corinti 2 dice: «Abbiate in voi il
cervello di Cristo!»; io dico spesso che Paolo è il primo inventore di trapianto cerebrale!
Il credente è colui che ha il cervello di Cristo, che non ha più il suo cervello ma che pensa come
Cristo! Che agisce come Cristo, che vive come Cristo! E allora ecco che non si conforma alla
mentalità di questo mondo, che pensa alle cose di lassù, che sa distinguere, come dice Paolo, una
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tristezza secondo Dio, quella che è il pentimento dei nostri peccati, del nostro esser lontani da Dio, e
una tristezza del mondo che produce la morte.
Quindi liberarci dal pensiero negativista, dalle lamentele, spesso noi cristiani siamo dei grandi
barbottoni. Sapete che il grande peccato di Israele nell’Esodo è la mormorazione, e Gesù nel
discorso Eucaristico torna sempre sul fatto della mormorazione. Noi non dovremmo mai
mormorare, ma se abbiamo in noi il cervello di Cristo siamo gli uomini della speranza e della gioia.
Pensiamo coi pensieri positivi, coloriamo tutto di bello, e soprattutto viviamo come Gesù.
Guardate, sarebbe interessante, ma non c’è tempo, contemplare come Gesù affronta la Passione, è
davvero un modello per tutti noi di fronte alla sofferenza.
Gesù cerca di evitare la malattia, quindi ci invita a lottare contro la malattia e la sofferenza: «Se
possibile passi da Me questo calice!». Ma Gesù alla fine fa obbedienza alla Sua condizione
creaturale volutamente accettata nel piano di Dio, e accetta che il mistero dell’amore di Dio si
compia attraverso la Sua finitudine e la sua limitatezza. Ma Gesù anche nella sofferenza non si
chiude in se stesso a riccio, ma resta aperto agli altri.
Pensiamo a Gesù che prima di morire prega per i suoi, il grande discorso dell’Ultima Cena, che nel
Getsemani si preoccupa che gli apostoli non siano arrestati con Lui; che lungo la salita al Calvario
consola le pie donne; che sulla croce non solo perdona ma addirittura scusa i suoi assassini; che si
preoccupa della salvezza del ladrone crocifisso con Lui. Come Gesù la nostra preghiera sarà sì il
grido del nostro dolore, ma sarà anche l’invocazione, la certezza della sua salvezza e della sua
liberazione.
Voi sapete che quando Gesù dice: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!» Dice in realtà,
il Salmo 21. Gli Ebrei non chiamavano i Salmi con dei numeri come noi. Ma li chiamavano con le
prime parole del Salmo e il Salmo cominciava con queste parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato! Sono le parole del mio lamento». È un Salmo diviso in due parti. La prima parte è il
raccontare a Dio lo strazio delle proprie sofferenze, la seconda parte è dire: «Ma so Signore, che Tu
mi ami, che Tu mi farai vivere, mi ridarai la vita, mi farai stare nella grande assemblea per sempre,
e là canterò per sempre le Tue lodi».
Ecco, questo è l’atteggiamento del credente, al punto che Marco, il teologo della croce, fa
riconoscere Gesù dal centurione come Figlio di Dio dal modo sublime in cui muore. Allora il
centurione, che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo disse: «Veramente quest’Uomo era
Figlio di Dio!», è una morte da Dio quella di Gesù!
E allora ecco, il credente di fronte alla sofferenza ha il cervello di Cristo, è uomo nuovo in Cristo!
E, come dicevo prima, non si chiude in se stesso ma anzi cerca di essere più che mai uomo per gli
altri. A me ha sempre colpito che San Francesco d’Assisi fa il suo meraviglioso Cantico delle
Creature quando era già cieco da tre anni. Io questo non lo sapevo, andai una volta ad Assisi e un
fraticello giù alla Porziuncola disse questa cosa: «Ma lo sapete che venne composto l’inno in cui
canta il sole, la luna, le stelle, le cose belle, quando già non le vedeva più da tre anni», vedete è un
uomo che resta aperto alla grazia, che resta aperto alla luce anche se lui fisicamente è nelle tenebre.
Il credente è colui che sa che “il mio giogo è soave e il mio peso è leggero”. Il credente è colui che
sa, e ripeto quello che per me è uno dei versetti più belli di tutta la Bibbia, 1 Corinti 10,13: «Che
Iddio è fedele, e non permetterà mai che siate tentati oltre le vostre forze. Ma se avrete la
tentazione, vi darà sempre la via d’uscita e la forza per sopportarla».
Guardate che è una frase bellissima! Dio non permetterà mai che abbiamo una tentazione superiore
alle nostre forze. Quando saremo nella tentazione ci darà sempre la forza per sopportarla e la via
d’uscita! E allora ecco perché Gesù tante volte dice: «Non siate ansiosi!» Noi traduciamo questa
parola del Signore, con “non preoccupatevi”. Quante volte sentiamo Gesù che dice: «Non
preoccupatevi di che mangerete, di che berrete; non preoccupatevi! Ad ogni giorno basta la sua
pena».
Ma è una traduzione molto banale perché il verbo “merimnein”, indica proprio l’ansia in greco. Non
siate ansiosi, guardate che l’ansia è la rovina della nostra vita! Noi siamo tutti pieni di ansia,
abbiamo sempre tante paure, tanta inquietudine! Ecco, addirittura San Francesco di Sales diceva
nella sua “Introduzione alla Vita Devota”: «Dopo il peccato, l’ansia è il peggior male che possa
capitare all’uomo».
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Ecco ma io invece, se sono credente, vedo la mia ansia sciogliersi perché Dio è con me. C’è un
brano molto bello in Matteo 10 in cui si dice: «Due passeri non si vendono forse per un soldo?
Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza il Padre vostro», punto! Le traduzioni infami che
abbiamo nelle nostre Bibbie dicono: «Senza che il Padre vostro lo voglia». Allora questa è
un’eresia perché Dio non vuole che il passero cada. Secondo, nel testo greco non c’è “lo voglia”,
ma dice: «Neanche un passero cade a terra senza il Padre vostro», punto. È molto bello questo!
Senza che il Padre vostro sia lì! Quando un passerotto muore, il Padre vostro è lì che muore con
quel passero. Quando il giglio del campo secca, il Padre vostro è lì che secca con quel giglio.
Quindi tanto più io che sono suo figlio prediletto, il suo amante, il suo fidanzato, il suo sposo, se
sono nella sofferenza, se sono nel dolore, il Padre mio è lì che soffre con me! Che piange con me! È
nel mio letto di dolore! Muore con me! Va all’inferno con me!
Questa è la grandezza e la bellezza della vita cristiana.
E infine due altre piccole annotazioni. Primo: non pensate al domani, dice il Signore. A ogni giorno
basta la sua pena. Quando sono nella sofferenza, spesso il problema è il domani. Quale sarà la
diagnosi? Risponderò alle cure? Quanto mi resta da vivere? Chi mi assisterà? E i miei famigliari
come faranno senza di me? E il lavoro come farò…?. Ecco, il Signore ci insegna a vivere per
l’oggi!
Ho riportato nel mio libro quel capolavoro di Giovanni XXIII, scritto proprio quando era negli
ultimi giorni della sua vita, quello che lui chiama “Il Decalogo della Quotidianità”. Sta per morire di
questo cancro che lo devasta, e scrive:
“Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata, senza voler risolvere il problema della mia vita tutto
in una volta.
Solo per oggi avrò la massima cura del mio aspetto, vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò
cortese nei modi, non criticherò nessuno, non pretenderò di migliorare o disciplinare nessuno tranne
me stesso.
Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro
mondo, ma anche in questo.
Solo per oggi mi adatterò alle circostanze senza pretendere che le circostanze si adattino ai miei
desideri.
Solo per oggi dedicherò dieci minuti a qualche buona lettura, ricordando che come il cibo è
necessario alla vita corpo, così la buona lettura è necessaria alla vita dello spirito.
Solo per oggi compirò una buona azione e non la dirò a nessuno.
Solo per oggi farò una cosa che non desidero fare e, se mi sentirò offeso nei miei sentimenti, farò in
modo che nessuno se ne accorga.
Solo per oggi mi farò un programma, forse non lo seguirò a puntino, ma lo farò. E mi guarderò da
due malanni: la fretta e l’indecisione.
Solo per oggi crederò fermamente nonostante le apparenze che la Buona Provvidenza di Dio si
occupa di me come nessun altro esistente al mondo.
Solo per oggi non avrò timori, in modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di
credere alla bontà. Posso ben fare per dodici ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo
fare per tutta la vita, perché basta a ciascun giorno il suo affanno”.
Vedete, è un atteggiamento di grande sapienza spirituale, indispensabile davvero per vivere
nell’obbedienza al Signore nel tempo della malattia. E infine ricordiamoci bene che, come diceva
Tonino Bello, la prova dura da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio. Monsignor Tonino Bello
diceva che questo è forse uno dei versetti più belli della Bibbia. Diceva: «C’è una frase immensa
che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo: “Da mezzogiorno fino alle tre
del pomeriggio si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più oscura di tutta la Bibbia, ma per
me è una delle più luminose proprio per quelle due riduzioni di orario che stringono come due
paletti invalicabili i tempi in cui è concesso al buio di infierire sulla Terra: da mezzogiorno alle tre
del pomeriggio!», ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane: da mezzogiorno alle
tre del pomeriggio.
Ma non è consentita oltre la sosta sul Golgota. Dopo tre ore ci sarà la rimozione di tutte le croci.
Coraggio fratello che soffri, c’è anche per te una deposizione dalla croce! C’è anche per te una pietà
sovrumana! Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico intriso di
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sangue, coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco lo sguardo di
Maria che ti avvolge di tenerezza! Coraggio, mancano pochi istanti alle tre del pomeriggio! Tra
poco il buio cederà posto alla luce, la Terra esulterà di gioia e il sole della Pasqua irromperà tra le
nuvole in fuga.
Ecco sorelle e fratelli, vedete, tutta la Bibbia altro non è che la risposta al grande tema del dolore.
Abbiamo visto le sue varie sfaccettature, il dolore frutto della colpa umana, la teoria della
retribuzione per cui alla fine chi soffre viene premiato, e chi invece è empio viene punito, ma
soprattutto abbiamo capito che Dio non è impassibile al grido dell’uomo!
Abbiamo capito che il dolore non ce lo manda Dio, ma fa parte del nostro “essere non Dio”! Del
nostro essere altri da Lui! Ma questo essere altri da Lui, questo essere creature, è il dono più bello
che poteva farci perché ci mette in una relazione amorosa con Lui. Ma Lui sa che noi soffriamo e
allora scende dai Suoi cieli, si pone accanto a noi, entra nelle nostre sofferenze, va all’inferno con
noi per guarirci, per sanarci, per liberarci.
E non solo noi, ma tutta la creazione in Cristo, per Cristo e con Cristo, viene redenta e viene portata
nella vita. E allora ecco che Gesù sulla Sua croce prende su di Sé ogni mia angoscia, ogni mia
paura, ogni mia sofferenza. Ma io che aderisco a Lui nella fede, già nell’oggi comincio a vivere
questa realtà di speranza, questa realtà di gioia, questa realtà di pacificazione.
E allora ecco che dopo Gesù Cristo, il grande mistero non è più perché il dolore, ma è grande e
meraviglioso mistero da contemplare davvero commossi, come Dio ci abbia amato tanto da
scendere dai suoi cieli, da farsi uno di noi, da soffrire con noi, da morire con noi e per noi, per farci
figli, e se figli eredi in Cristo Gesù nostro Signore.
Ringraziamo il Dottor Miglietta perché ci ha fatto una catechesi, un annuncio splendido. Non so se
c’è qualcosa da chiedere, penso che è stato talmente esauriente!
Domanda: …sull’incarnazione a causa del peccato…sul logos…
Risposta: No, no! Uscite da questa visione perché questa è una visione distorta, che è cominciata
nel Medio Evo e l’han portata avanti fino al Concilio Ecumenico Vaticano II. No, tutta la prima
Chiesa ha sempre visto l’Incarnazione come compimento della Creazione!
Non possiamo annullare il Vangelo di Giovanni, il Vangelo di Giovanni dice con chiarezza che: «Il
Verbo è venuto per compiere la Creazione, tutto è stato fatto in vista di Lui, per mezzo di Lui e
nulla di ciò che esiste è stato fatto se non per mezzo di Cristo», cioè la creazione è una creazione “in
Cristo”.
Che poi Cristo mi tolga tutti i peccati e mi riconcili anche col Padre, sicuramente sì, ma il motivo
per cui da sempre esiste il Verbo (il Verbo è Dio, Dio uomo, eh!), il Verbo è Gesù: unica persona
con la natura divina e con la natura umana. Il Verbo preesiste da sempre nel Padre!
Non è il Logos, ma il Verbo, cioè il Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità, Gesù
Cristo! Questo è importante!
Interlocutore: …l’angelo alla nascita di Gesù annuncia ai pastori la salvezza, non parla del
compimento della creazione…..sulla salvezza annunciata dai profeti nel’Antico Testamento….
Risposta: sottende la guarigione! È la guarigione! Annuncia : «E’ nato il Salvatore», ma siamo noi
che usciamo dal peccato! In greco il verbo “sozein” è la guarigione
Cosa attendeva l’Antico Testamento? Attendeva addirittura la restaurazione politica di Israele!
Politica! Cioè dobbiamo smettere questi spiritualismi che sono fuori dalla Chiesa! Quando Isaia
parla della salvezza, non ha mica in testa la liberazione dai peccati! Ha in testa che Israele, colpita
dall’invasione nel 701 del nord, e nel 587 da quella di Nabuccodonosor, torni ad essere un grande
regno!
Il concetto di salvezza in tutto l’Antico Testamento è un concetto di guarigione, è un concetto di
salute, di prosperità…Guardate che l’Antico Testamento non crede all’aldilà, lo sapete? Mettetevelo
in testa questo!
Addirittura nell’Antico Testamento il concetto di aldilà non esiste, se voi leggete i Salmi, si dice:
«Coloro che scendono nello Sheol, che scendono nel regno dei morti, potranno forse lodati? No!
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Signore fa che io non sia come quelli che scendono nella fossa!», perché chi scende nella fossa non
c’è più, niente! Lo diciamo tutte le volte nei Salmi.
La prima volta che compare il concetto di aldilà è nel Libro della Sapienza. Il Libro della Sapienza
una volta si diceva che era il secondo o primo secolo avanti Cristo, adesso tutti i biblisti dicono che
probabilmente è del cinquanta avanti Cristo, cioè è alla fine di un percorso.
Tutta la grande attesa dei Profeti, era di un Messia che avrebbe salvato gli uomini, che avrebbe
ristabilito la potenza di Israele, che avrebbe fatto sì che Israele, schiavo di Babilonia, oppresso,
sofferente, fosse un Israele che stava bene, che viveva in pienezza. Siamo noi che abbiamo poi
inficiato con le filosofie che abbiamo introdotto nel secondo - terzo secolo e abbiamo dato a
“salvezza” un senso evidentemente “spirituale”.
Nell’ebraismo salvezza è guarigione, il verbo “sozein”, significa guarigione: nel greco non esiste
questa dicotomia nostra tra l’anima e corpo, siamo salvati come persone, certo! La mia pienezza, la
mia guarigione si realizza soltanto in Dio. E allora ecco che non solo la vita eterna, ma Gesù mi
riconcilia col Padre, mi rende possibile questo vedere il Padre; mi purifica da tutto questo peccato
che mi impedisce di vedere il Padre, quindi come dice Rahner, sicuramente l’Incarnazione avviene
per il compimento della creazione e poi anche per la riconciliazione degli uomini, per dire agli
uomini come potevano fare a relazionarsi già fin d’ora con il Padre, per vivere un’intimità con il
Padre.
Ma la Incarnazione è essenzialmente per compiere il progetto creazionale.
Quando la notte di Natale gli angeli a Betlemme dicono: «Vi è dato un Sozei, un Salvatore», cioè
uno che compie la guarigione completa delle vostre miserie, delle vostre sofferenze, del vostro
morire, questo è il primo significato! Il peccato viene dopo, viene anche eh! Non sto dicendo che
non viene, ma è secondario! Perché , scusi tanto, il giorno che io fossi riconciliato con Dio, ma poi
muoio, e crepo, e finisco nei vermicelli per sempre, come era la concezione dell’Antico Testamento,
non so se la mia vita è poi tanto serena. Invece quello che proprio mi viene detto dal Signore è che
la mia vita è chiamata ad essere eternizzata in Dio.
Eternizzata in Dio, credo che questa sia la grande gioia, sia il grande Evangelo!
Il Signore non parla mai di vita futura, vi sfido a trovare una volta che parli di vita futura, parla
sempre di vita eterna. Cioè questa mia vita continua nell’infinità di Dio., questa è veramente la
lettura! Io credo ci sono libri bellissimi: ma io dico prendete il Catechismo della Chiesa Cattolica,
paragrafi dal 302 al 310, e vedete veramente come c’è questa visione più profonda e più biblica!
Questo non vuol dire che il peccato sia una cosa da poco, ma vuol dire che soprattutto ai nostri
giorni l’annuncio cristiano (l’ha detto anche in una catechesi recente Benedetto XVI: « Tante volte
noi abbiamo enfatizzato il discorso del peccato», la gente al giorno d’oggi, che non gliene frega più
niente del peccato, crede dunque che l’annuncio del Vangelo sia qualcosa di demodè, di desueto,
che non ha più nessun interesse, nessuna importanza. No! Primariamente l’annuncio cristiano è
l’annuncio della vita eterna, è l’annuncio della guarigione completa, è l’annuncio della resurrezione
della carne, e questo la gente ne ha bisogno perché la gente vive nella paura, perché la gente vive
nell’angoscia, perché la gente vive nel terrore di morire, perché la gente non sa più quale senso dare
alla propria vita, ecco perché il cristianesimo è quanto mai attuale, eterno, ed è la parola eterna
perché risponde ai grandi, profondi bisogni dell’uomo.
Io credo che dobbiamo fare uno sforzo, lo so, siamo stati tutti educati a una visione legalistica per
cui quello che era importante era fare alla fine il conteggio della serva: «Ho fatto tanti peccati, ma
ho preso tante indulgenze, se finisco in pari vado in Paradiso, se sono sotto mi fregano». Però io
credo che dobbiamo uscire da questa che è una mentalità molto parziale, che c’è anche, perché è
chiaro che Gesù mi dice anche: «Io vengo a darti la piena gioia» e la piena gioia è vivere
nell’amore, e quando tu vivi nell’odio e quindi quando tu pecchi, ti allontani da questo amore, ti fai
del male, non riesci a conciliarti a vivere la relazione amorosa con mio Papà! Questo sicuramente è
presente nell’annuncio di Cristo.
Ma l’annuncio di Cristo ha primariamente questa grande potenza esistenziale, ecco perché il nucleo
della fede cristiana non è la confessione, è il Kerigma, cioè è la Resurrezione, è la Pasqua in cui
viene detto: «Il tuo corpo risorgerà in Cristo». Questo è il grande annuncio, quindi per carità il tema
del peccato è un tema importante perché esistenziale
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Interlocutore: .. sulla resurrezione del corpo e dello spirito…
Risposta: sa qual è la cosa grande nel cristianesimo? È che l’immagine e somiglianza di Dio non è
mica l’anima! È la persona, è il corpo e l’anima insieme! Questa divisione tra corpo e anima l’anno
fatta i greci, non è biblica!
Interlocutore: interrompe e torna sul momento della morte … sullo spirito che va presso Dio…
Risposta: già la volta scorsa qualcuno aveva già accennato a questo. Guardate che io ho fatto
questo discorso qui nel mio libro sulla ”Eucarestia”; io scrissi questo discorso che adesso vi vado a
fare, e siccome il libro “Dell’Eucarestia” era diventato il manuale della Diocesi nell’anno
Eucaristico, lo lesse tutto il Cardinal Poletto, gli fece fare la prefazione a Monsignor Razetti,
l’ausiliare, e il Cardinal Poletto mi mandò alcune annotazioni: tra le annotazioni del Cardinal
Poletto c’era questo:
“Miglietta, lei mi ha fatto riflettere su una cosa bellissima, su cui io non avevo mai riflettuto, ma
che lei dice con estrema chiarezza cioè: « attenzione, quando noi diciamo che dopo la morte l’anima
va in cielo e il corpo aspetta, questi sono modi di dire! Modi di dire tipici degli umani, perché in
realtà in Dio non esiste lo spazio e il tempo» qui andiamo un po’ nel difficile ma spero che seguiate,
Ci dicevano già al catechismo quando avevamo sei anni: «Dio è l’eterno presente». Spazio e tempo
–lo dice molto bene Kant – sono modi di conoscere tipici dell’uomo, lo spazio e il tempo sono il
modo con cui noi esprimiamo le nostre conoscenze. Quando io muoio, io vado in Dio dove non c’è
più lo spazio e il tempo; quindi nel momento in cui muoio, in quel momento là, il mio corpo è già
risorto, e io vedo già i miei nipoti, i miei pronipoti, i miei bisnipoti. Anche se qui, in questa scatola
di cartone che è lo spazio e tempo umano, sembra che il corpo sia qui, che i miei nipoti debbano
ancora nascere; ma nell’eternità di Dio il “giudizio particolare” e il “giudizio universale”
coincidono, questo è il discorso, perché in Dio non c’è il tempo!
“Dio è fuori dal tempo” è chiaro che per noi una cosa che non riusciamo a capire, perché noi siamo
abituati solo a pensare in teorie spazio-temporali, ma nell’eterno presente di Dio (è quella che si
chiama Teologia Negativa): ..io dico ciò che non è, poi non riesco a esprimerlo : dico che in Dio
non c’è il tempo! Perché il tempo è un modo tipico degli umani, in Dio c’è ma è “il tempo
presente”. Allora quando io morirò, in quel momento a chi rimane sula Terra sembrerà che il mio
corpo vada in decadimento, ma in realtà nell’eternità di Dio io sarò presente come persona, subito,
nella mia totalità, in Dio e, mistero dei misteri, vedrò già i miei figli, i miei nipoti, i miei pronipoti,
perché nell’eternità di Dio vedrò già tutti!
Non è che i Beati sono là che aspettano che noi moriamo, che arriviamo su, questi sono discorsi
“dai tetti in giù”: di uomini! Gli uomini quando pensano, pensano con le categorie spazio e tempo.
Io qualche volta dico questo che è come essere in una scatola di cartone, una scatola da scarpe, noi
siamo dentro e le due dimensioni sono lo spazio e il tempo; ma Dio è fuori dallo spazio e dal tempo.
Sì, quando io esco dalla mia scatola di cartone mi trovo nell’eternità di Dio.
Il Cardinal Spoletto mi disse: « Mi hai fatto riflettere su una cosa bellissima, non ci avevo mai
pensato con questa chiarezza, ma questa è tutta grande tradizione dei Padri greci », e infatti non me
lo fece correggere, infatti se voi lo leggete è scritto con quelle parole lì.
Domanda: sull’assunzione di Maria, … sul dogma ..
Risposta: certo la bellezza di Maria è che coerentemente, dicevamo la volta scorsa “sì, la morte fa
parte del nostro essere “non Dio”, quello di essere creature. Sicuramente i peccato crea morte, crea
altra morte, crea altre dimensioni drammatiche di morte, ma dicevamo la Santa Romana Chiesa
non dice che Adamo se non avesse peccato non sarebbe morto, ma ed è un dogma del Concilio di
Trento: «Chi nega che la morte, intesa come decadimento corporeo non sia frutto del peccato,
“anatema sit”! » cioè la morte intesa come decadimento corporeo è stata portata dal peccato. Se non
avessimo mai peccato come non ha mai peccato Maria, avremmo tutti avuto subitamente la sorte di
Maria, cioè di non vedere neanche al tempo nel nostro scatolone di cartone dello spazio e del tempo
il nostro disfacimento corporeo, ma subito questo privilegio, che nell’eternità di Dio scompare
anche la dimensione del decadimento corporeo. E quindi il dogma dell’assunzione di Maria.
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Io capisco che sono idee che a volte lasciano un po’ così, ma provate a riflettere quando avete
davanti la Scrittura, soprattutto imparate a non leggere la Scrittura un versetto qui, un versetto là, un
versetto sotto, un versetto sopra, ma leggerla nella sua completezza, a mettere i vari brani in
parallelo, a raccoglierne la pienezza sapendo che solo Gesù Cristo è la risposta definitiva .
Gesù stesso ci insegna che la scrittura va letta in questo modo
Quando il famoso brano del divorzio, Lui dice: «Avete udito… ».
Oppure anche quando vi dice che : “il divorzio era concesso nell’Antico Testamento”, e uno va lì,
legge quel pezzo, e allora divorzia. Gesù dice: «No! Nel piano di Dio non fu così», nel piano di Dio
vale di più Genesi 1 che Deuteronomio 24. Quindi anche la Scrittura va interpretata nella pienezza
della Rivelazione di Cristo. E la pienezza della Rivelazione di Cristo è che sicuramente Cristo è il
primogenito di tutte le creature, primogenito pensato da sempre!
Pensato prima di tutte le creature per portare questa nostra povera corporeità nei suoi cieli. Ecco
perché Paolo dice: «Se Cristo non fosse risorto vana è la nostra fede, vana è la nostra predicazione,
e noi saremmo i più infelici degli uomini. Ma invece poiché Cristo è risorto possiamo dire che “si
semina: il nostro corpo risorgerà! E come risorgerà? Si semina il nobile, si risorge nobile; si semina
il glorioso, si risorgo glorioso; si semina finito, si risorge trasfigurato»
Qui c’è il grande mistero dei nostri corpi che avranno la stessa sorte del corpo di Gesù. Il corpo di
Gesù era lo stesso corpo da risorto, rispetto a prima, tant’è vero che mangia e beve con i suoi, tanto
è vero che gli toccano le mani, gli toccano il costato, gli toccano le mani e i piedi, tant’è vero che lo
abbracciano. Ma è anche un corpo profondamente trasfigurato, profondamente diverso, perché è un
corpo che passa attraverso i muri, perché è un corpo che cammina sulle acque, perché è un corpo
che ascende al cielo.
Paolo ci dice la stessa cosa, il nostro corpo, che adesso è ignobile, risorgerà: questo corpo qui, ma
glorioso. Quindi c’è una continuità tra i nostri corpi e il nostro essere poi in Dio nel paradiso, ma
c’è anche una trasfigurazione, una diversità, per cui saremo pieni di bellezza. Io credo che con tutto
rispetto, per carità, per l’aspetto morale dell’Incarnazione di Cristo per cui si concilia col Padre,
eccetera, credo che sia urgente, sulla linea proprio anche dell’impostazione teologica propria di
Benedetto XVI, nei suoi interventi del mercoledì e nelle sue encicliche recuperare questo aspetto
esistenziale dell’Incarnazione del Signore.
Incarnazione del Signore che viene a dire all’uomo moderno, che come dicevo prima, del peccato
ormai interessa molto poco. Se voi dite ai vostri ragazzi: «Questo è peccato, questo è peccato» ,
chi se ne frega? Ma se voi dite ai vostri ragazzi: «Il tuo amico è morto, che senso ha la vita del tuo
amico? E’ tutto finito lì!», «Il tuo amico è malato, il tuo amico sta morendo, e le tue paure che hai?
Quali sono le tue risposte?». Se puoi dirgli: «La risposta è Gesù Cristo che viene a prendere su di sé
le tue sofferenze, la tua malattia e a darti vita eterna», allora sì che poi mi gioco volentieri anche la
morale! La morale viene quasi dopo perché io ho sperimentato Gesù come Salvatore, salvatore non
tanto da una punizione “l’inferno o non l’inferno”, eccetera, ma da quell’inferno che è il nostro
essere creature votate alla morte. Ecco un Dio che discende in questi Inferi per togliermi; poi certo
posso aderire, posso non aderire, posso capirlo di più, posso capirlo di meno posso rifiutarlo anche,
nella vita c’è anche la possibilità di rifiutare questo Dio che viene a prendere su di sé tutto il tuo
limite per portarlo in Lui.
Puoi anche rifiutare e allora se ti rifiuti sarà l’inferno, sarà l’inferno eterno, non c’è altra soluzione.
Se volete è il rovescio di una medaglia preziosissima. Però qui c’è il mistero della libertà, non
possiamo discutere se si può davvero dire di no a un Dio così bello, così affascinante, oppure no;
ma sicuramente l’uomo è chiamato ad aderire a Cristo per avere questa pienezza di vita e io insisto
“di vita” proprio nel senso che è preziosa.
Domanda: ..su “Il mio corpo risorgerà, questo corpo risorgerà… non questo che abbiamo adesso,
questo che va in dissoluzione…
Risposta: no, no, proprio questo che abbiamo adesso! C’è quella magnifica visione di Ezechiele:
quando Ezechiele vede! È uno dei brani di anatomia ricostruttiva più belli di tutta quanta la
Scrittura, Ezechiele vede nella Valle di Giosafat proprio ricomporsi i corpi dei defunti, c’è una
descrizione bellissima, in cui dice “ Le polveri si aggrumano, si riformano le ossa, le ossa si
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riattaccano insieme, i muscoli le ricoprono, poi i vasi sanguigni, poi i visceri, poi la pelle, poi il
resto del corpo”, è una visione bellissima ma è “questo” nostro corpo.
Nel brano di Paolo 1, Corinti 15, Paolo si pone questo problema, perché è l’antico problema che si
ponevano tutti, proprio perché la resurrezione dei corpi è il fondamento del cristianesimo:
“Come risorgeremo? Ma qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo risorgeranno?»,
stolto, ciò che tu semini non prende vita se prima non muore; quanto a ciò che semini il corpo che
rinascerà, ma un semplice chicco di grano di altro genere e Dio gli dà un corpo come stabilito a
ciascun seme con il proprio corpo…….. così anche la resurrezione dei morti..è seminato nella
corruzione risorge nell’incorruttibilità; e se rinasce nella miseria risorge nella gloria; e se è nato
nella debolezza risorge nella potenza; e seminato corpo animale risorge un corpo nello spirito”
Ecco c’è una continuità perché è lo stesso corpo, e c’è una trasfigurazione. Quindi più di questo non
possiamo dire, ma è molto bello ed è molto consolante.
Domanda: …..un sacerdote mi ha posto un tema: «Esisto per cui credo, credo perché esisto», io ho
risposto: «Io vivo perché amo, io penso che si esiste quando si sa amare»…. A parte la teologia, la
filosofia, ma la sintesi è sempre l’amore: «Io sono vissuto per amarvi», Lui dice questo…
Risposta: ti ringrazio, perché io nella fretta di dover concludere in un’ora, un’ora e dieci minuti,
cerco in modo razionale di dare un filo di logiche, però guardate che tutta questa contemplazione
del Mistero di Dio che abbiamo fatto è proprio come dice Pier Luigi, cioè è contemplazione
dell’amore di Dio, perché la creazione è una creazione per amore, l’Incarnazione è un’Incarnazione
per amore e un’Incarnazione fino alla morte in Croce e alla discesa negli Inferi, non c’è amore più
grande, è un Dio che si svuota , ma riusciamo a capirlo? È veramente lo scandalo di un Dio che ama
i nostri poveri corpi
A volte penso, ma di fronte all’infinito di Dio noi siamo delle formiche, dei microbi, eppure Dio
ama quei microbi che siamo noi, questi esseri piccolissimi Dio li ama alla follia. Dio dà la vita per
noi, Dio si fa microbo, con noi! Quale amore più grande se non il mistero della creazione e
dell’Incarnazione di Cristo!
D’altra parte quando i Padri contemplavano la Santissima Trinità, dicevano che nella Trinità c’è una
“missio ad intra”, cioè una relazione d’amore tra le Persone divine e c’è una “missio ad extra”
Cioè questo amore di Dio debordava al di fuori della Trinità e dove deborda? Nella Creazione e
nell’Incarnazione.
Sono le due manifestazioni di questo amore creativo, come l’amore tra due persone fecondo, che
porta a una nuova vita, a una nuova creatura, così l’amore immenso di Dio porta alla creazione e
porta al compimento della creazione che è l’Incarnazione. Cioè questo Dio che per amore si svuota:
“Dio è il più grande povero che esista perché ha dato tutto quello che aveva, si è completamente
svuotato”
Già i saggi Ebrei riflettevano e dicevano che la creazione è stata possibile soltanto per un “contrarsi
di Dio”: Dio si è fatto piccolo perché potessimo esistere noi. Ma pensate che roba!
E poi pensate che Dio non soltanto si contrae, in qualche misura perché potessimo esistere noi, ma
Dio entra nel nostro mondo di piccoli, eh: si fa piccolo.
Guardate che leggeremo nel Vangelo della mattina di Natale “il tempo si è fatto carne, - ci dirà
Giovanni,- ma gli angeli vanno dai pastori e dicono: «Troverete un phoetus avvolto in fasce».
Phoetus è una parola strana, che non è tanto bambino è il feto appena partorito. Troverete un Dio
che si è fatto feto. Guardate che è una cosa…..!
Come poteva diventare più piccolo, come poteva svuotarsi? Davvero tutto il discorso che abbiamo
fatto oggi o lo vediamo come questo capolavoro di amore di un Dio che mi ha fatto per amore, che
si Incarna per amore, che mi salva per amore, e a quel punto davvero nasce la gioia, la speranza,
Interlocutore: e non possiamo vivere senza amare...
Risposta: il filo della vita è poi corrispondere a questo amore. È un Dio che, come tutti gli
innamorati, è lì con un mazzo di fiori e con una scatola di cioccolatini chinato davanti a me che dice
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: «Ti amo!», e non aspetta altro che io gli dica: «Ma io amo Te, signore!», ecco capite? Questo è il
mistero, capite?
Interlocutore: c’è un’espressione più forte ancora: Dio è pazzo di amore…
Risposta: certo quando nel Cantico dei Cantici si parla dell’amore folle; e poi il cantico ha sì una
lettura letterale ma sicuramente ha anche una lettura allegorica, cioè è veramente il simbolismo
dell’amore tra Dio e gli uomini, è un Dio follemente innamorato e permettetemi come non può un
Dio non essere follemente innamorato se per me muore su una Croce, muore su una Croce!
Interlocutore: .. a volte mi domando come ha potuto per amore creare anche me?...
Risposta: e dov’è che leggevo oggi, che mi ha colpito ancora una volta: “e Dio ama ciascuno di noi
come se esistesse soltanto ciascuno di noi”, cioè io sono oggetto di un amore unico di Dio.
Io sono il suo “unico”, come dice sempre il Cantico dei Cantici, è veramente una cosa….! E lì
intervengono i mistici, eh! C’è dentro non i razionali! C’è dentro quei Santi, quelle Sante che hanno
davvero saputo scoprire il rapporto con Dio in termini di nuzialità.
Perché poi quando l’uomo, lo scrittore biblico cerca in qualche misura di raffigurare il rapporto tra
Dio e gli uomini non trova metafora più alta che la maggiore espressione umana dell’amore che è
l’amore coniugale, l’amore nuziale!
E allora ecco che davvero tutta questa Teologia sembra a prima vista fare un po’ sorridere, ma
invece è la Teologia più alta di quelle Sante che si definivano le spose di Cristo, le mistiche nozze,
la mistica unione, sono tutti modi poveri, simboli per indicare questo mistero di essere pieni
dell’amore di Dio.
Interlocutore:…meno Chiesa, più Cristo…è provocatorio…..meno genuflessioni ma più vita….
Risposta: è vero, la Chiesa però è Chiesa della religione in cui è Cristo. Noi siamo dei cristiani,
cioè dobbiamo essere degli altri Gesù Cristo che escono da qui, da corso Peschiera 192 e vanno in
giro per il mondo. Il cristiano è un alter Christus.
Da questo riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete! Perché se Dio è l’amore totale i
cristiani devono essere questa scintilla d’amore che infiamma davvero ovunque si vada.
Grazie molte.

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