DON ANTONIO

lunedì 20 febbraio 2012

Esaltazione della Santa Croce. 7



mons. Antonio Riboldi
Amore e dolore nel segno della croce

È davvero un grande mistero dell'amore di Dio per noi quello che contempliamo nella Croce su cui il Figlio unigenito donò tutto se stesso, per farci partecipi del Suo Amore e della Sua Gloria. La Chiesa, oggi, così canta:
?Ecco il vessillo della croce, mistero di morte e di gloria,
l?Artefice di tutto il creato è appeso ad un patibolo.
Un colpo di lancia trafigge il cuore del Figlio di Dio,
sgorga sangue e acqua,
un torrente che lava i peccati del mondo.
O albero fecondo e glorioso, ornato di un manto regale,
talamo, trono e altare al corpo di Cristo Signore.
O croce beata che apristi le braccia a Gesù Redentore,
bilancia del grande riscatto, che tolse la preda all?inferno.
O croce unica speranza, sorgente di vita immortale,
accresci ai fedeli la grazia, ottieni alle genti la pace. Amen.?
Così Paolo VI presentava la grande festa della Esaltazione della Croce: ?Oggi, 14 settembre, la Chiesa celebra una festa di origine antichissima, la festa della esaltazione della S. Croce. Gli storici dicono che essa ebbe origine a Gerusalemme, dove esistevano due basiliche costruite al tempo e per opera di Costantino. La ricorrenza della loro dedicazione era ogni anno celebrata con grande solennità; vi convenivano da ogni parte vescovi, ecclesiastici, monaci e fedeli, molti dei quali pellegrini. In tale occasione si facevano venerare le reliquie della croce del Signore: cerimonia questa che prevalse su quella commemorativa della dedicazione e diede il titolo alla festa, che dura tuttora... E? il mistero del culto della croce quale strumento della passione di Cristo e nello stesso tempo mistero della passione di Cristo, simbolo della redenzione e segno d?estremo obbrobrio per Gesù, ma segno soprattutto dell?unica salvezza per noi e per il mondo...
La croce non è del tutto scomparsa nei profili dei nostri paesaggi rurali. Riposa anche sulle tombe dei nostri morti. Non è scomparsa nelle aule della vita civile. Non è scomparsa dalle pareti di casa nostra (o almeno spero che le mode moderne non l?abbiano sfrattata di casa, per fare posto ad altro che è la vanità dell?uomo). Cristo è la pendente, morente, con il suo tacito linguaggio di sofferenza redentrice, di speranza che non muore, di amore che vince e che vive. Questo è davvero bello. Ancora, almeno con questo segno siamo cristiani. Ma poi, nelle nostre coscienze personali grandeggia ancora questo tragico e insieme luminoso albero della croce?
Non sarebbe forse diventato Cristo crocifisso, anche per noi, ?scandalo e stoltezza?, come lo era per i Giudei e per i Greci nella predicazione di S. Paolo.
Noi tutti ricordiamo certamente che, se davvero siamo cristiani, dobbiamo partecipare alla passione del Signore e dobbiamo portare dietro i passi di Gesù, ogni giorno, la nostra croce. Cristo crocifisso è esempio e guida? (14 settembre 1971).
Tutti noi, che viviamo, senza eccezioni, abbiamo una croce personale.
Ciascuno ha la sua. Inutile confrontarsi. Ogni croce è fatta su misura per le spalle di ciascuno. Rappresenta la nostra storia di dolore. E ogni croce ha il suo significato, solo se, come quella di Gesù, è portata con amore. Diversamente diventa disperazione. E tutti sappiamo quali pericoli genera la disperazione.
Ogni croce che portiamo, anche se non lo comprendiamo, è una storia e può diventare una meravigliosa storia di amore: quell?amore che non si racconta come una favola, che non evade i problemi, ma si celebra con la ferialità della vita, che sempre contiene gioie e sofferenze. Tutti abbiamo potuto conoscere amici, persone che, non trovando la via dell?amore, soffrono fino all?inverosimile.
Porto sempre con me l?immagine di un quadro dell?Addolorata, presente nella cappella del mio noviziato al Calvario di Domodossola. Attorno a quella Madonna, che è l?icona della sofferenza, come sotto la croce, era scritto: ?all?amore e al dolore?.
Amore e dolore come le due braccia della croce.
Ma bisogna avere tanta fede e saper vivere partecipando alla passione del Signore, che porta alla resurrezione.
È nei momenti della sofferenza che si misura la nostra fede in Gesù e il nostro amore per Lui.
Dice l?apostolo Giovanni nel Vangelo di oggi: ?Gesù disse a Nicodemo: Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell?uomo, che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell?uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui? (Gv. 3, 13-17).
Sembra quasi incredibile che Dio ci ami così tanto!
I cristiani che riescono nella vita pratica a penetrare in questo mistero ineffabile di amore, scoprono nella sofferenza un modo di ricambiare tanto amore.
Dobbiamo riacquistare il vero senso dell?amore che vive anche di sofferenza, di dolore. Scriveva sempre Paolo VI, parlando della Croce che attira a sé: ?Siamo tutti in modo e in grado diverso, sofferenti: forse non sentiamo l?invito, che a sé ci chiama, dell?Uomo che conosce il soffrire. Il dolore che nel mondo naturale è come un isolante, per Gesù è un punto di incontro, è una comunione. Ci pensate fratelli? voi ammalati, voi disgraziati, voi moribondi? Ci pensate voi uomini aggravati dalla fatica e dal lavoro? Voi, oppressi e solitari dalle prove e dalle responsabilità della vita? Tutti vi possono mancare, Gesù in croce, no. Egli è con voi. Egli è in noi. Di più, Egli è per noi. É il grande mistero della croce: Gesù soffre per noi!
Espia per noi. Condivide il male fisico dell?uomo, per guarirlo dal male morale.
Uomini senza speranza! Uomini che vi illudete di riacquistare la pace della coscienza, soffocando in essa i vostri rimorsi (tutti noi peccatori ne abbiamo, se siamo veri uomini), perché voltate le spalle alla croce? Abbiamo il coraggio di rivolgerci verso di essa e di riconoscerci in essa colpevoli: abbiamo fiducia di sostenere la visione della sua figura misteriosa; essa ci parla di misericordia, ci parla di amore, di resurrezione? (giugno 1956).
Facciamo festa e di cuore, ripensando a quanto ci ama Dio, attraverso il dolore del Figlio, che così S. Paolo descrive: ?Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra: e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre? (Fil. 2, 6-11).
E prego:
Oggi, o Signore, vorrei stare con tua Madre, che hai voluto fosse anche nostra madre, affidandola a Giovanni, e quindi affidandomi a Lei, vorrei stare, ripeto, sotto la tua croce, per capire il tuo dolore, per fare del dolore un dono, il dono più grande dell?amore, come è stata la tua vita, alla fine donata per noi sulla croce.
Oh sì, caro Gesù, sei ancora in croce oggi.
Sei sulla croce di tanti, troppi affamati, che alzano le loro braccia verso di noi, immobili crocifissi, immolati dal nostro egoismo.
Sei sulla croce di tanti, troppi tossicodipendenti e carcerati, di conseguenza, di tutti i loro cari, tante volte crocifissi dalle nostre mille contraddizioni, ed ora maledetti come fosti Tu.
Sei sulla croce di tanti ammalati, che implorano salute o almeno conforto; di tanti anziani che sono soli, crocifissi dal loro essere sulla soglia della morte, colpevoli di avere dato tutto, come Te.
Tua Madre, Maria, ha saputo raccogliere e condividere il tuo amore e il tuo dolore sotto la croce. Farsi crocifiggere come Te, senza ribellarsi come Te.
Un silenzio il Tuo che è amare l?altro fino a dare la vita.
Fammi partecipare, o Maria, in qualche modo, a tutte le croci del mondo, come mi appartenessero. Fammi capire che avrò la vera pace, quando avrò perso la mia, perché chi non l?ha la conosca. Fammi capace di dare la vita, giorno per giorno, o almeno viverla per i miei fratelli, sicuro che questo dare la vita è la sola via per averla, ed in abbondanza, davanti al Padre.
E quando mi trovo in difficoltà, chiamato a soffrire, chiamami a stare con te sotto la croce, per avere parte alla tua forza di amare.


mons. Roberto Brunelli
Il segno dell?amore più grande

La celebrazione di oggi, tanto importante da interrompere il normale ciclo delle domeniche, lo è tanto di più tra i cristiani orientali, per i quali è quasi una seconda Pasqua. La festa ha avuto origine presso di loro, per ricordare la consacrazione, avvenuta a Gerusalemme l?anno 335, di quella che noi chiamiamo la basilica del Santo Sepolcro; qui si venerava il legno ritenuto la croce di Gesù, e quando nel 630 l?imperatore Eraclio riuscì a riportarvelo, vincendo i Persiani che l?avevano sottratto, al ricordo della consacrazione si aggiunse quello del felice ricupero. Da allora la festa si estese ai cristiani d?occidente.
A parte le memorie storiche, esaltare la Santa Croce significa richiamare insieme i due volti della redenzione compiuta dall?Uomo-Dio: le celebrazioni pasquali li presentano distinti (il venerdì santo, la morte in croce; la domenica, la gloria della risurrezione), ma essi costituiscono un unico inscindibile mistero. Se Cristo non fosse risorto, ricorda San Paolo, vana sarebbe la nostra fede; ma è risorto perché prima era morto, e nel modo che si sa, e per le ragioni che si conoscono. Due volti dunque dell?unico mistero, come avevano ben compreso già i primi cristiani, i quali per secoli hanno cercato di esprimerlo raffigurando non il Crocifisso ma la sola croce, d?oro e impreziosita da gemme, o in vari altri modi adorna. Insomma esaltata, in quanto strumento e segno della salvezza, strumento e segno dell?amore più grande che si possa immaginare.
Il passo dei vangeli proposto in questa festa, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, non è scelto tra i resoconti della Pasqua, pur se tutti e quattro gli evangelisti li hanno riferiti con abbondanza di particolari. Ne è stato scelto invece una sorta di preannuncio, fatto dallo stesso Gesù a Nicodemo, il notabile giudeo recatosi da lui di notte, in segreto. Da quel predicatore ambulante che tanto l?aveva impressionato da indurlo a rischiare l?ostracismo dei suoi pari pur di conoscerlo di persona, Nicodemo tra l?altro si sentì dire: ?Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell?uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell?uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna?.
Due premesse, per capire. ?Figlio dell?uomo? è l?espressione con cui Gesù designa se stesso. E l?accenno al serpente di Mosè fa riferimento a un episodio dell?antico testamento (Numeri 21,4-9): quando il popolo d?Israele, invece di esprimere con la fedeltà a Dio la sua riconoscenza per essere stato liberato dalla schiavitù dell?Egitto, prese a lamentarsi del viaggio nel deserto, fu assalito da serpenti velenosi seminatori di morte; allora, impaurito e pentito chiese aiuto al condottiero, il quale per ordine del Signore innalzò su un?asta un serpente di rame: chiunque, dopo essere stato morso, lo avesse guardato, sarebbe rimasto vivo. Evidentemente quello che teneva in vita non era il manufatto sull?asta, ma la fede in Dio che così aveva disposto; ed è facile comprendere che quel singolo episodio assume un valore paradigmatico, passando dalla dimensione fisica a quella spirituale.
A Gesù bastano le poche parole riportate, per manifestare le verità profonde che riguardano lui stesso e noi in rapporto a lui. Ricapitolando: Dio ha amato gli uomini, tanto da intervenire nel viaggio della loro vita, a liberarli dai morsi delle colpe che darebbero loro la morte spirituale; allo scopo ha mandato il suo Figlio, il quale, prima di tornare al cielo, sarà anche lui innalzato su un legno; chi guarda a lui con fede (cioè accoglie nella propria vita Colui che per amore ha donato la sua) evita la morte, anzi riceve da Dio la vita senza fine.


Paolo Curtaz
Un amore da esaltare

Avete ragione, scusate.
Davanti al dolore dell?innocente, davanti alla sofferenza inattesa, davanti ai tanti volti di persone che hanno avuto la vita stravolta dalla tragedia di una malattia o di un lutto, le parole diventano fragili e l?annuncio del Vangelo si fa zoppicante.
L?unica vera obiezione all?esistenza di un Dio buono, così come Gesù è venuto a svelare, è il dolore dell?innocente.
Molti dei dolori che viviamo hanno la loro origine nell?uso sbagliato della nostra libertà o nella fragilità della condizione umana. Ma davanti ad un bambino che muore anche il più saldo dei credenti vacilla.
Al discepolo il dolore non è evitato, e non cercate nella Bibbia una risposta chiara al mistero del dolore (Ma davvero cerchiamo una risposta? Noi vogliamo non soffrire, non delle risposte!).
Non troviamo risposte al dolore, troviamo un Dio che prende su di sé il dolore del mondo.
E lo redime.

La regina pellegrina
Quella di oggi è una festa nata da un fatto storico: il ritrovamento della regina Elena, madre dell?imperatore Costantino, primo imperatore convertitosi alla fede, del luogo della crocifissione a Gerusalemme. Quel luogo fu conservato con devozione dai discepoli durante tre secoli, malgrado Roma imperiale avesse fatto di tutto per farlo dimenticare e lì, dopo lo scavo del sepolcro, fu ritrovata dalla regina Elena in una cisterna la presunta croce di Gesù con il titulum crucis.
Grandissimo scalpore suscitò quella scoperta e le comunità cristiane si ritrovarono in un ventennio dall?essere perseguitate al vedere portata la croce trionfalmente a Costantinopoli.
Per noi oggi, giunge l?occasione di una seria riflessione sulla croce.

Dio non ama la sofferenza
Prima, però, voglio chiarire una cosa.
La croce non è da esaltare, la sofferenza non è mai gradita a Dio, Dio non gradisce il sacrificio fine a se stesso.
Lo dico per scongiurare la tragica inclinazione all?autolesionismo tipica del cattolicesimo, inclinazione che crogiuola il cristiano nel proprio dolore pensando che questo lo avvicini a Dio, inclinazione che produce molti danni.
La nostra è una religione che rischia di fermarsi al venerdì santo, perché tutti abbiamo una sofferenza da condividere e ci piace l?idea che anche Dio abbia sofferto come noi. Ma la nostra fede non resta ferma al calvario, sale al sepolcro. E lo trova vuoto.
La felicità cristiana è una tristezza superata, una croce abbandonata perché ormai inutile e questa croce, ormai vuota, viene esaltata.
La croce non è il segno della sofferenza di Dio, ma del suo amore.
La croce è epifania della serietà del suo bene per ciascuno di noi.
Fino a questo punto ha voluto amarci, perché altro è usare dolci e consolanti parole, altro appenderle a tre chiodi, sospese fra il cielo e la terra.

Il paradosso dell?amore
La croce è il paradosso finale di Dio, la sua ammissione di sconfitta, la sua dichiarazione di arrendevolezza: poiché ci ama lo possiamo crocifiggere.
Esaltare la croce significa esaltare l?amore, esaltare la croce significa spalancare il cuore all?adorazione e allo stupore.
Innalzato sulla croce (Giovanni non usa mai la parola ?crocifisso? ma ?osteso? cioè mostrato) Gesù attira tutti a sé.
Davanti a Dio nudo, sfigurato, così irriconoscibile da necessitare di una didascalia per riconoscerlo, possiamo scegliere: cadere nella disperazione o ai piedi della croce.
Dio ? ormai ? è evidente, abissalmente lontano dalla caricatura che ne facciamo; egli è li, donato per sempre.
E al discepolo è chiesto di portare la sua croce.
Ho scoperto che, spesso, la croce sono gli altri a procurarcela. O noi stessi.
E noi ci svegliamo ogni mattina e la carteggiamo e la pialliamo.
Evitiamo le sofferenze inutili, abbandoniamo i dolori che scaturiscono da un?errata visione del mondo.
Portare la propria croce significa portare l?amore nella vita, fino ad esserne crocifissi.
La croce non è sinonimo di dolore ma di dono, dono adulto, virile, non melenso né affettato.
Dio ci ha presi sul serio, rischiando di essere uno dei tanti giustiziati della storia.
Questa festa, allora, è per noi l?occasione di posare lo sguardo sulla misura dell?amore di un Dio che muore per amore, senza eccessi, senza compatimenti, libero di donarsi, osteso, amici, osteso.
Questo, ora, è il volto di Dio.

Cristi
Allora ti rispondo, amico che scrivi urlando a Dio il tuo dolore: alla fine della tua acida preghiera non troverai un muro di gomma, né un volto indurito ma ? semplicemente ? un Dio che muore con te.
E potrai scegliere di bestemmiarlo e accusarlo ancora della nostra fatica oppure ? che egli te lo conceda ? restare stupito come quel ladro crocifisso che non sapeva capacitarsi di tanta follia d?amore.
Tutto qui, tutto qui: la croce è l?unità di misura dell?amore di Dio.

Sì, amici, c?è di che celebrare, c?è di che esaltare, c?è di che esultare.

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