DON ANTONIO

sabato 18 febbraio 2012

Lectio divina di Mc 2, 1-12 .VII A domenica del Tempo Ordinario





Lectio divina di Mc 2, 1-12
Domenica 12.02.2012
VII A domenica del Tempo Ordinario
[1] Entrato di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni, si udì che era in casa. [2] E si
radunarono molte persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta; ed
annunziava loro la Parola. [3] Si recarono da lui con un paralitico sorretto da quattro
persone. [4] Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono
il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella ove giaceva il
paralitico. [5] Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono rimessi i
peccati”. [6] Seduti là vi erano alcuni scribi che ragionavano in cuor loro: [7] “Perché
costui dice così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non l’unico Dio?”. [8] Ma
subito Gesù, avendo conosciuto nel suo spirito che così ragionavano in se stessi, disse
loro: “Perché ragionate su queste cose nei vostri cuori? [9] Che cosa è più facile: dire al
paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi la tua barella e cammina? [10]
Ora, perché sappiate che il Figlio dell’Uomo ha autorità sulla terra per rimettere i
peccati, [11] dico a te – disse al paralitico – alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua”.
[12] Quegli si alzò, prese la sua barella e se ne andò in presenza di tutti al punto che tutti
erano fuori di sé e glorificavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”.
Brani di riferimento:
 Su Dio che cancella il peccato: Es 34, 7; Is 43, 25; Sal 103, 3.
 Sulla bestemmia nell’AT: Lv 24, 16.
 Sulla paralisi come castigo di Dio: Lv 21, 17-23; Ez 21, 11-12.
 Sulla conoscenza dei cuori di Dio: 1Re 8, 39.
Cuore dell’intero brano è la domanda che fa riemergere la questione relativa all’identità
di Gesù: “Perché costui dice cosi? Bestemmia. Chi può rimettere i peccati se non l’unico Dio?” (v. 7).
Svelato il pensiero degli scribi Gesù dà una prima risposta: “Che cosa è più facile?” (v. 9).
Ma se per l’uomo è più facile rimettere i peccati, per Gesù le cose stanno diversamente: è
più semplice compiere il miracolo che non rimettere i peccati. Per questo si rivolge al
paralitico confermandogli il perdono: lo chiama “figlio” strappandolo a un contesto di
emarginazione causato dalla malattia e, non operando subito la guarigione, rompe il
legame peccato/malattia facendo emergere che la sua condizione non è conseguenza del
peccato.
Tutto questo incontra l’obiezione degli scribi: giustamente questi si chiedono come
possa un uomo compiere ciò che è prerogativa di Dio, ma essi non tengono in conto ciò
che Gesù ha detto e fatto sino a quel momento. Lo accusano di bestemmia, un’accusa
grave, la stessa che lo condurrà alla morte (cfr. Mc 14, 64), ma la guarigione dell’uomo
lascia tutti sbalorditi: riconoscono in essa un’autorità che in loro è assente, l’azione di
Dio.
Per la prima volta, al v. 10, Gesù si identifica con “il Figlio dell’Uomo”, titolo che se da
un lato richiama la potenza dell’autorità di Dio (cfr. Dn 7, 1-13), in Ezechiele o nel
Salmo 8 è espressione di profonda umiltà e vicinanza alla condizione umana. In Marco
questo titolo è associato anche al mistero pasquale, definendo il Figlio dell’Uomo come
colui che “è venuto per servire e dare la sua vita in riscatto per tutti” (10, 45).
Contrapposto alla reazione scandalizzata degli scribi è il silenzio del paralitico e dei
quattro uomini che lo accompagnano. Questi non esitano a trovare nuove vie pur di
incontrare il Maestro: se orizzontalmente il passaggio è impedito dalla folla, essi aprono
un varco dall’alto. Sarà poi il paralitico, ormai guarito, a farsi strada attraverso la stessa
folla che prima era ostacolo e che ora partecipa della sua gioia, iniziando un movimento
di “uscita” che verrà ripreso dallo stesso Gesù (v. 13).
Che cosa cercano il paralitico e coloro che sono con lui? Nulla c’è detto dall’evangelista,
quindi tutte le ipotesi sono valide: forse sperano nella guarigione, forse gli basta
incontrare Gesù. Sappiamo però cosa ottengono: la loro fede in un uomo che annunzia
in parole e opere il regno di Dio è condizione sufficiente per il perdono; non è
necessario un loro atto di pentimento, non importa cosa essi abbiano compreso di Gesù
e del suo ministero, è Dio che per primo e gratuitamente si dona all’uomo concedendo il
suo perdono e la sua vicinanza.
Fabrizio
Comunità Kairós

http://www.comunitakairos.it/wordpress/wp-content/uploads/2012/02/Mc-21-12.pdf

Nessun commento:

Posta un commento